Crepet: «I social network una macchina da guerra che entra nella vita privata»

I PROTAGONISTI
«Siamo chiamati a rivedere ciò che stiamo facendo, ciò che in fondo abbiamo accettato e nessuno ci ha imposto, ma che sta producendo lo scollamento sociale al quale assistiamo».
A spiegarlo è Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, educatore e saggista che ieri è stato protagonista a èStoria in dialogo con Alex Pessotto su “Alterità e norma: una lettura del presente”. Un presente che nei rapporti è caratterizzato sempre più da nevrosi e distorsioni (un'altra declinazione del tema di “follia”, in fondo) delle quali in parte significativa è responsabile la componente digitale. I social network. «Una macchina da guerra, dal punto di vista del marketing, capace di entrare nella nostra vita privata, da un lato, ma anche di suscitare vere e proprie reazioni e fenomeni a livello collettivo – dice il professor Crepet -. È come una nuova cultura infiltrata all'interno della nostra cultura, per la quale tutto è o bianco oppure nero. Pensiamo alle divisioni assolutamente nette su tanti temi che caratterizzano l'attualità, come quello interessantissimo sulla questione climatica. Ma questo approccio per il quale semplicemente o si è d'accordo o si è in disaccordo io lo rifiuto, voglio argomentare, confrontarmi, rapportarmi con l'altro».
La “ricetta”, se esiste, è dunque quella di un utilizzo più consapevole dei social network, e una riscoperta di modelli diversi. «Che secondo me ci sono – spiega Crepet - e lo stanno comprendendo anche i ventenni, che a differenza dei quarantenni sono nati in un mondo già digitale e guardano ai social con un occhio diverso, più critico. E spesso li abbandonano. Chiaramente queste sono delle avanguardie, ci vorrà del tempo, ma credo che potranno guidare il cambiamento».
Dal presente (e futuro) al passato, tra gli incontri di ieri al Parco Basaglia, particolarmente interessante e seguito anche quello con il docente dell'università di San Diego Andrew Scull, che, introdotto da Roberto Roveda di Focus Storia, ha ripercorso le origini e lo sviluppo del Bethlem Royal Hospital di Londra. Che riassume per molti versi la storia dell'approccio alla follia e alla malattia mentale della società occidentale. Quello che nel tempo è divenuto noto semplicemente come “Bedlam” (“confusione” e “caos” in inglese) ha alle spalle una storia lunga sette secoli, e, nato come ospedale medievale è stato a lungo l'unico manicomio in Inghilterra. «Il Bethlem Royal Hospital divenne sinonimo di follia, isolamento, maltrattamenti, per le condizioni in cui si trovavano le persone ricoverate al suo interno – ha spiegato Scull - fino a che nel 1815 una serie di scandali legati proprio a queste situazioni portarono a un'inchiesta parlamentare e all'inizio della riforma, avviata trent'anni dopo».
Una riforma che, ispirata anche da esempi come quello del York Retreat, altra struttura per la malattia mentale, virò verso approcci più umani, dando vita a istituzioni meno simili a carceri e votate al tentativo di riportare in qualche modo il paziente alla salute. Un primo passo verso quel cambiamento storico che proprio nel parco che fa da cornice a éStoria si sarebbe realizzato molto dopo con Franco Basaglia.
Quel parco che oggi vede gli appuntamenti dell'ultimo giorno dell'edizione dedicata alla “Follia”. In Tenda Clio alle 10.30, ad esempio, Pietro Spirito coordinerà l'incontro “Guerre e spaesamenti nelle fonti psichiatriche di Trieste e Lubiana”, con Paolo Fonda, Gloria Nemec e Marta Verginella, mentre alle 16.30 (Tenda Erodoto) Vittorino Andreoli riceverà il premio speciale èStoria 2021 per la sua dedizione cinquantennale a cura psichiatrica e divulgazione. —
Ancora, i due infermieri Venizio Bregant ed Emanuela Pecorari racconteranno con Stefano Bizzi i giorni della rivoluzione Basaglia (Tenda Erodoto alle 16.30), e nell'ultimo evento (18.30, Tenda Apih) David Riondino regalerà tutta la forza poetica della “follia amorosa” del suo Orlando Furioso. —
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