Dal Living Theatre al mare di Barcola per insegnare yoga

Attore, regista e anarchico per vocazione: gary Brackett si racconta
Foto BRUNI Trieste 25.05.2020 Gary Brackett, istruttore di Yoga
Foto BRUNI Trieste 25.05.2020 Gary Brackett, istruttore di Yoga

TRIESTE «Ho vissuto a Boston, New York, Beirut, Barcellona, Napoli, Genova e poi Trieste: ho lo spirito d’un marinaio che ha abitato sempre di fronte al mare. Amo l’atmosfera delle città portuali, dove le genti passano e si mescolano. Trieste è stata così per lungo tempo e in qualche modo lo è ancora, anche se oggi è più una città di scienziati che di marinai». Gary Brackett è attore, regista teatrale e insegnante di yoga. È nato in una piccola cittadina del North Carolina, quella Rocky Mount che ha dato i natali a Thelonious Monk, ma presto l’ha lasciata per lanciarsi alla scoperta del mondo e della propria vocazione. A portarlo in giro per il pianeta è stato il suo impegno nel campo teatrale, della biomeccanica e dello yoga: ha collaborato a lungo ed è tuttora membro di The Living Theatre, uno dei più importanti gruppi di teatro politico d’avanguardia nel mondo. Si definisce anarchico e pacifista e vive a Trieste da oltre un decennio: è un nomade divenuto stanziale per amore.

«A Trieste c’ero stato di passaggio, ma se ci sono tornato è perché a Chiasso, nel corso di un laboratorio teatrale, ho conosciuto Eleonora, un’attrice e musicista friulana che ha studiato qui e ci si è stabilita. Sono venuto a trovarla e abbiamo deciso di proseguire il cammino assieme». Con lei ha fondato e gestisce una scuola di yoga: «Sono di primo mestiere teatrante, di secondo insegnante di yoga. Ma per vivere a Trieste ho dovuto invertire le parti», racconta. 

Quand’è stata la prima volta che è capitato qui?

Venticinque anni fa a Urbino ho lavorato con il regista triestino Aldo Vivoda, del Petit Soleil, su una performance tratta da un romanzo di Yukio Mishima: in quel periodo vivevo a Napoli e giravo per il mondo e soprattutto in Italia tenendo laboratori per The Living Theatre. Aldo mi ha invitato a Trieste per un suo spettacolo, sono arrivato qui con in tasca sei mila lire dopo un interminabile viaggio col treno notturno. Ricordo il buio pesto, le curve che non finivano mai: sembrava il Far West e invece era il Far East. Mi sono fermato il tempo della rappresentazione e sono scappato: non ho visto quasi nulla della città. Ma ci sono tornato a vivere quindici anni dopo con Eleonora, in un piccolo appartamento in piazza Venezia.

Che effetto le fa ora che ci vive da tempo?

Trieste è decisamente piccola rispetto a New York, ma molto vivibile, a misura d’uomo. Amo il mare e il Carso e grazie a Eleonora, che è musicista, sono entrato fin da subito in un circuito alternativo: ho conosciuto le band che fanno musica di strada, il teatro Miela, gli anarchici del gruppo Germinal.

Si può vivere di teatro a Trieste?

Trieste ha un teatro di prosa piuttosto tradizionale, il mio stile - il teatro politico e d’avanguardia - non è ben accetto qui. Ma ci sono delle eccezioni, come i ragazzi di Hangar Teatri, che propongono un teatro sperimentale. O alcune proposte del Miela, come il Satie Festival che ha curato Eleonora: 21 ore di musica dal vivo su Zoom con più di 120 musicisti da tutto il mondo.

E di yoga?

Trieste è una città ideale per lo yoga, così come per molte altre arti curative, dall’agopuntura dall’osteopatia, fino alle arti marziali. Lo dimostrano le tante scuole attive sul territorio. I triestini sono molto fisici, come me: amano tutte le attività sportive, specie all’aria aperta.

I suoi luoghi preferiti?

Amo i contrasti, dagli scogli dei Filtri e della Costa dei Barbari al cemento dei Topolini di Barcola. Da newyorkese Barcola mi fa pensare a Coney Island, la Costa dei Barbari a Fire Island, che negli anni ’70 fu un luogo magico per la comunità gay statunitense.

Un progetto che le piacerebbe realizzare?

S’intitola Common Blood, ed è un mio adattamento tratto da due libri che mi hanno colpito molto: “Trieste”, di Daša Drndic, e “Bloodlands. Europe between Hitler and Stalin”, di Timothy Snyder. Il primo è un romanzo che ripercorre, attraverso la voce di una donna, i peggiori orrori del Novecento: dalla prima guerra mondiale all’avvento del fascismo, fino alla strage degli ebrei nei lager. Il secondo è un saggio, la storia degli stermini perpetrati dal regime nazista e da quello sovietico tra il 1933 e il 1945 nelle “terre di sangue”, le zone al confine tra Germania e Russia in cui viveva la maggior parte degli ebrei europei. Lo spettacolo mescola poesia, opera lirica e danza: sto cercando i fondi per la messa in scena.

Un sogno per il futuro di Trieste?

La rinascita di Porto Vecchio: se fosse Lisbona, Berlino o New York si sarebbe investito per trasformarlo in un luogo di fertile contaminazione tra scienziati e artisti. Potrebbe diventare un posto dove si fa cinema, musica, arte, teatro, con gallerie, atelier, musei. Mancano le risorse e una visione d’insieme, ma non è troppo tardi: servono politici con volontà e immaginazione. La ricchezza di Trieste sta nella diversità di lingue e di culture. Siamo in un posto di confine che ha ancora tanti spazi vuoti da riempire: potrebbe ritornare com’era al tempo di Joyce, aperta e multiculturale. Sarebbe la sua salvezza. —

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