Dove volano le illusioni d’amore

PIETRO SPIRITO. L’amore è un’illusione, lo sai. Nel poco tempo che abbiamo la felicità senza compromessi è una radice che si fa largo a fatica in un terreno pieno di sassi. Rancori, gelosie, tradimenti, sentimenti graffiati e complessi sono la ragnatela in cui si impigliano relazioni difficili per chiunque non abbia della vita una visione fondata sui terreni solo apparentemente solidi dei principi. E ciò di cui spesso non vogliamo tenere conto, o facciamo finta di non voler sapere, è che tutto gira intorno alla volontà di ciascuno, alle scelte o non scelte che fa o non fa, seguendo una rotta il più delle volte tracciata senza valutare le conseguenze: «L’amore non è affatto inevitabile; comporta sempre un scelta. Solo che è complicato risalire al momento in cui quella scelta si compie, o da quando apparentemente frivola si fa irreversibile». È questo il mondo senza veli di Alice Munro, un mondo non disperato ma disperante in cui si muovono i personaggi dei suoi straordinari racconti: fratelli e sorelle legati da odio e amore, madri e figlie anaffettive, amanti alle prese con «inquiete sottotrame», vedove «agli sgoccioli della vita». E ognuno, sempre, porta nell’animo “Una cosa che volevo dirti da un po’”, come titola l’ultima raccolta del Premio Nobel canadese, racconti pubblicati nel 1974 e ora riproposti da Einaudi (pagg. 272, Euro 19,50) nella traduzione di Susanna Basso. Pochi scrittori hanno la capacità della Munro di radiografare le fitte trame emotive che agitano esistenze comuni, riuscendo a evidenziarne le linee di forza con marcature esemplari. Munro “copia” la vita, ne fa un calco come fosse capace di seguirne i contorni con la carta carbone. E i suoi personaggi, quasi sempre donne, sono chiamati a misurarsi con la vita e con il suo peggior nemico, il tempo, attraverso sguardi retrospettivi, in un’inesausta interrogazione su ciò che è stato e forse poteva essere, sulle mutazioni dei sentimenti, l’accanimento delle emozioni. «Negli anni successivi una domanda si ripresentò nella testa di Et: come avrebbe portato avanti la storia, qualora Blaikie fosse tornato?», si chiede la protagonista del racconto che dà il titolo al libro. Storia di due sorelle, Et e Char, unite dall’affetto e dal risentimento per un lontano amore conteso che un giorno, dopo molti anni, si rifà vivo minando tragicamente antichi e precari equilibri.
Perché, ancora e sempre, l’amore non è che un’illusione. Lo scopre presto Edi, nel racconto «Come ho conosciuto mio marito». Edi è una ragazzina quando va a servizio come cameriera in casa di Mr. e Mrs. Peebles, «più o meno a cinque miglia dal paese». In un campo lì vicino un giorno atterra con il suo aeroplano e pianta la tenda Chris Watters, un pilota da turismo che fa voli a pagamento. Lei lo conosce, se ne invaghisce, lui la seduce. Poi quando compare Alice Kelling, la fidanzata “ufficiale” di Chris, il pilota decolla e sparisce, non prima di avere promesso a Edie di scriverle. Invano Edie aspetterà, a lungo, una sua lettera: «Finché mi passò per la mente l’idea che c’erano donne che (...) passavano la vita ad aspettare una lettera, sedute accanto alla cassetta della posta. Immaginai me stessa nell’atto di fare quel tragitto giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino ai primi capelli bianchi, e pensai, non sono nata per andare avanti così». Edie finirà per sposare il postino cui andava incontro aspettando una lettera dall’ amore volato via.
E non è tanto diverso il destino della narratrice del racconto “Dimmi se sì o no”: «Mi dicesti che mi amavi, anni fa (..) E lo dissi anch’io, ero innamorata di te al tempo. Un’esagerazione». Anche lei aspetta le lettere del suo amante clandestino fino scoprire, dopo la sua morte, un’amara e inattesa verità: le stesse lettere a un’altra donna. Allora non rimane, sappiamo anche questo, che l’”autobastanza”, la risorsa vitale di ogni donna quando si scopre illusa e delusa: «Ho inventato di amarti e poi che eri morto. Ho anch’io le mie trappole e i miei trucchi. Per il momento non capisco come funzionino, ma mi conviene essere prudente (...)».
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