“È Trieste, una bellezza”: l’architetto Celli indaga l’anima della città
In Stazione Rogers la presentazione della passeggiata nella storia attraverso le facciate di case e palazzi

TRIESTE Se “La Bellezza salverà il mondo” - come afferma il principe Miškin protagonista del romanzo “L’Idiota” di Dostoevskij - la causa di tale frivola convinzione va ricercata nel fatto che il protagonista è innamorato e da tale stato emotivo sgorga la sentimentale dichiarazione. Viene da pensare che nella scelta del titolo “È Trieste, una Bellezza” per il volume, Luciano Celli abbia inteso dichiarare da subito il suo amore per la città, che fa da cornice al suo vagabondare consapevole tra le strade, le piazze, i monumenti e gli edifici che testimoniano il passato, e fungono da controcanto ai numerosi interventi realizzati o rimasti soltanto dei sogni nel cassetto.
Come un romantico “Wanderer” l’architetto si incammina una domenica mattina dalla casa situata in periferia lungo il pendio collinare e scendendo attraversa luoghi e spazi cittadini, sempre dialogando con il mare, fattore sostanziale per la scena urbana, ma al contempo confine mobile tra terra e cielo. Al termine di viale XX settembre vi è l’incontro con la fontana dal lui realizzata che reca Giano bifronte, custode dei passaggi e dei mutamenti, di ciò che ha inizio e fine, una simbolica soglia.
La fontana con le fattezze di Giano che rievocano la maschera teatrale, rappresenta l’ideale prosecuzione del lavoro di ristrutturazione del Politeama Rossetti condotto con Marina Cons. Andando verso il mare risulta quasi impossibile smarrirsi nell’ordinato reticolo del Borgo teresiano, con le sue “enfilade” che riportano al mare, cerniera tra Mediterraneo e Nordeuropa.
Inevitabile poi lasciarsi coinvolgere dai due castelli, Miramare e Duino, dai quali si riverberano le tormentate personalità di Sissi e Rilke. Lo sguardo del viandante si sposta poi sulla più iconica delle scenografie urbane, piazza Unità che è stata oggetto di ricerche e studi confluiti in una pubblicazione del 1979 condivisa con gli altri due componenti dello studio, Carlo Celli e Dario Tognon insieme a Dino Tamburini. Chissà se l’editore, Dedalo libri, fosse già un sotteso richiamo al mitico architetto del Labirinto, dato che Luciano Celli come scultore si è lasciato affascinare/ossessionare dal Minotauro.
Riuscita metafora della città di Trieste con il suo ricco multistrato di lingue, culture e nevrosi, il Labirinto coagula la vibrante e frammentata visione dell’urbanistica in forma di parola, magistralmente raccontata da Italo Calvino nelle “Città Invisibili”.
Oltre all’esterno degli edifici l’architetto si occupa degli interni e le citazioni tratte da brani descrittivi di arredi e atmosfere di appartamenti e case triestine - a opera di Italo Svevo, Scipio Slataper, Fausta Cialente, Renzo Rosso, Umberto Saba, Stelio Mattioni, Fulvio Tomizza - testimoniano la cura e la curiosità connessa alla predisposizione di progetti per la realizzazione di arredamenti e interni. L’allestimento del Museo Commerciale nel Palazzo della Borsa vecchia gli ha consentito di esplorare gli aspetti meno noti della cultura economica cittadina, affidati a oggetti e strumentazioni che debitamente ricollocate, hanno ancora molto da raccontare.
Un edificio che Celli ammira è il Palazzo Aedes di Arduino Berlam, il grattacielo Rosso di proprietà delle Generali, al quale fa da controcanto palazzo Carciotti, dove la compagnia ebbe la prima sede. La Trieste neoclassica allineata lungo il canale di Ponterosso conserva intatto il suo fascino, coniugando nell’emblematica facciata di sant’Antonio Nuovo semplice e monumentale, due opposti che fatalmente si attraggono.
Celli si interroga sulla peculiarità di Trieste, come luogo degli incroci che Cergoly sentiva risuonare nelle diverse parlate “del si, del da, del ja”, un sofisticato universo multiculturale, che nelle architetture degli edifici religiosi delle diverse confessioni e financo nei cimiteri, conserva e tramanda un mondo di valori dalla marcata connotazione spirituale, che ha il suo epicentro nella sacralità della memoria. L’ultimo capitolo si chiude con due opere che costituiscono una efficace sintesi di memoria e futuro, vale a dire la capacità di proiettare e conservare l’identità della città interpretandone la storia: il progetto di Bernard Huet per piazza Unità e la Stazione Marittima di Umberto Nordio, posti entrambi sulla linea di confine tra terra e mare, là dove abita l’anima della città.
Il volume sarà presentato oggi, 13 novembre, alle 18 alla Stazione Rogers. Insieme all’autore ne parleranno Giovanni Fraziano, Thomas Bisiani e altri. —
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