Ecco le semplici regole da seguire per evitare suffissi dispregiativi e articoli superflui

Sindaca o sindaco donna? Avvocata o avvocatessa? E la ministra, perché si offende se la chiami ministro? Ecco le cinque regole da osservare per muoversi con dimestichezza nella questione,...
Sindaca o sindaco donna? Avvocata o avvocatessa? E la ministra, perché si offende se la chiami ministro? Ecco le cinque regole da osservare per muoversi con dimestichezza nella questione, attualissima, del linguaggio di genere. 1. Sindaca: senza dubbio la parola che, più di ogni altra, in fatto di linguaggio di genere, abbiamo imparato a usare. Complice l’elezione, più o meno recente, di Raggi e Appendino, il mestiere di primo cittadino è diventato oramai, a tutti gli effetti, una faccenda da donne pure dal punto di vista della lingua: e mentre loro, le sindache, hanno un sacco di grane da risolvere, a noi, in fondo, basta sostituire la o, con la a. Niente di più facile. 2. Ministra: “Riesco a dirle di chiamarmi ministra, no? È complicato?”: la consacrazione mediatica del termine ministra è arrivata così, nel corso di una conferenza stampa in cui Valeria Fedeli, chiamata ministro da un giornalista, lo ha pubblicamente invitato a rivolgersi a lei usando il femminile. Come dire: se c’è, adoperiamolo! Tutti avvertiti, d’ora in poi. 3. Avvocata: perché, se esiste già avvocatessa? La questione riguarda tutte le professioni che, fino a oggi, hanno formato il femminile grazie all’aggiunta del suffisso -essa. Nel volume Il sessismo nella lingua italiana Alma Sabatini spiegava la natura ironica e fortemente dispregiativa di quel suffisso. Era il 1987: ecco perché, trent’anni dopo, è opportuno procurarsi un’avvocata, farsi curare dalla dottora, e chiamare la vigile, se una macchina in doppia fila c’impedisce di uscire dal parcheggio. 4. La presidente: tutti i nomi in -ante ed -ente, questa la regola, restano intatti e cambiano genere soltanto grazie all’articolo che li precede. Ma allora, perché mai un presidente dovrebbe diventare, al femminile, presidentessa? Il punto 3 ci ha appena raccontato la natura dispregiativa del suffisso -essa: ricordiamoci dunque di chiamarla, quando è donna, la presidente. 5. Gentiloni incontra Meloni: sì, ma purché non si aggiunga l’articolo la. Perché se è consuetudine specificare, con un la, che Meloni (ma anche Boschi, Finocchiaro, Lorenzin… ) è una donna, mai, nel caso di un uomo, si sente la necessità di aggiungere il.




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