Elisabetta Sgarbi scopre la Slovenia

“L’altrove più vicino”, per Trieste sicuramente, è la Slovenia, un paese del quale nel resto d’Italia si sa poco, sebbene sia uno dei più dinamici della nuova Europa. Anche per questo Elisabetta Sgarbi ha deciso di raccontarla con un documentario che muove i primi passi dal capoluogo giuliano, a cinque anni dal film “Il viaggio della Signorina Vila” col quale la regista e scrittrice si era immersa proprio nelle atmosfere di Trieste.
“L’altrove più vicino” sarà presentato al Torino Film Festival domani, in una proiezione per la stampa, e poi lunedì in un’anteprima-evento seguita da una conversazione tra l’autrice e alcune delle voci triestine più autorevoli che nel film raccontano in prima persona la Slovenia: Claudio Magris, Paolo Rumiz e il maestro Igor Coretti-Kuret, che porterà anche in concerto al festival la sua European Spirit of Youth Orchestra, formata dai migliori giovani musicisti europei. Sullo schermo, fra le testimonianze ce n’è anche una particolarmente speciale: la prima intervista dopo molti anni al grande poeta Alojz Rebula, 93 anni, ormai cieco, ma che continua a scrivere. E ancora i versi della scrittrice Marisa Madieri, moglie di Magris, esule istriana, e i brani di Boris Pahor, interpretati da Toni Servillo.
Perché un film dedicato alla Slovenia? L’idea è nata durante la lavorazione di “Il viaggio della Signorina Vila”?
«La Slovenia - risponde Elisabetta Sgarbi - è stata l'interlocutore naturale della mia Trieste. “Il viaggio della Signorina Vila” era, in fondo, sin dal titolo, sin dal riferimento a Slataper, un dialogo con la cultura slovena. Basti pensare all'intervento di Pahor, alle poesie di Kosovel, di Mermolja. Ma ho capito che Trieste è un confine e che per comprenderla bisognava varcare il confine e capire cosa c'era dall'altra parte».
Si è tenuta “al di qua” del confine oppure si è spinta anche “al di là”, intervistando chi vive in Slovenia quotidianamente? Scorrendo i nomi dei grandi intellettuali e artisti triestini interpellati, alcuni anche della minoranza slovena, l’idea sembra quella di un “ritratto della Slovenia vista da Trieste”…
«In "L'altrove più vicino" la Slovenia inizia da Trieste, ma si spinge oltre a Lubiana, Maribor, all'ospedale partigiano di Franja. La "mia Slovenia" assomiglia a un lento distacco di una nave da un porto sicuro. Trieste è guardata sin quando, come da una nave che lascia il porto appunto, rimane visibile. Poi inizia un territorio nuovo, con alcune peculiarità, culturali e naturali».
Oggi che la frontiera fisica non esiste più, cos’è rimasto dell’idea di confine a Est che questo lembo d’Europa porta con sé?
«La Slovenia rimane forse uno dei pochi luoghi in cui si respira ancora la Mitteleuropa, per esempio a Lubiana, eppure già è mondo slavo. È una identità sospesa, culturalmente molto consapevole, giovane e molto dinamica. Poi penso che i confini ancora esistano, anche se non ci sono le dogane. Il passaggio dall'Italia alla Slovenia si avverte ancora, certo in modo meno traumatico di prima. E anche il confine con l'Austria. Poter varcare i confini - in quanto cittadini europei - significa anche conoscere i confini e le differenti identità. E anzitutto vuol dire riconoscerli. Se poi si dovesse compiere il viaggio di un migrante, ci si renderebbe conto di quanto i confini possano essere ancora oggi, a torto o ragione, delle barriere».
Qual è il ricordo più intimo legato alla Slovenia che ha raccolto durante le sue interviste?
«Sicuramente molto effetto ha causato in me la conoscenza di Rebula. Ma anche l'ospedale partigiano di Franja, costruito non so come, in una gola di roccia, inaccessibile ai nazisti, dove curavano partigiani e soldati tedeschi: e qui un cartello accoglie i visitatori "Qui comincia l'Europa". E infine la vera espressione dell'Europa dei popoli e delle culture: la European Spirit of Youth Orchestra diretta da Igor Coretti che raccoglie ogni anno 80 nuovi giovanissimi musicisti da tutti i paesi d'Europa. Un’esperienza straordinaria».
Franco Battiato è autore delle musiche del film: come si è sviluppata la vostra collaborazione?
«Franco è un grande suggeritore. Mi aiuta a capire le immagini con le scelte musicali. Ma lui non ha visto il film: ha la capacità di vederlo prima di vederlo».
Quale ritratto è uscito della Slovenia contemporanea?
«Di grande vivacità e consapevolezza culturale. Di attenzione alla propria tradizione culturale, che noi ci ostiniamo a non volere conoscere, e di apertura alle avanguardie, se questo nome ha ancora un significato».
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