Guidi: «Finalmente la fotografia è arte»

UDINE. Sono stati i commercianti di capolavori e i galleristi a «tenere la fotografia fuori dal mondo dell’arte per tanti anni». Ora, però, l’esclusa si prende una bella rivincita entrando proprio nei circuiti prima proibiti, «non senza creare un inevitabile quanto benefico sconquasso». Così il grande maestro della fotografia Guido Guidi, che apre il cartellone degli incontri dell’Hemingway oggi (ore 18.30, spazio Ufficio spiaggia 2, Lignano Sabbiadoro), in dialogo con Alberto Garlini. Premio Hemingway per il fotolibro “Guido Guidi. Cinque paesaggi 1983-1993”, a cura di Antonello Frongia e Laura Moro (Roma, Postcart-Istituto centrale per il catalogo e la documentazione 2013), l’artista riceve il riconoscimento per la sua visione “dissacratoria” del paesaggio. «Sono molto felice che per la prima volta ci sia qui a Lignano un premio alla fotografia», commenta. «Ciò forse significa che non dovrò più essere chiamato ‘artista della fotografia’, ma artista tout court». Della sua recente personale alla Fondazione Cartier-Bresson di Parigi, Guidi dice: «La Magnum finora aveva difficilmente dato attenzione a noi fotografi del paesaggio. Perciò è stata una positiva sorpresa». Nato nel 1941 a Cesena, dove vive e lavora, formatosi allo Iuav di Venezia (dove oggi insegna), dalla fine degli anni ’60 Guidi, tra i primi in Italia, si è dedicato al paesaggio marginale e antispettacolare della provincia: dall’edilizia spontanea della Romagna orientale, alle aree industriali di Porto Marghera e Ravenna.
Come accoglie questo premio?
«Ricevere un premio è sempre imbarazzante: da un lato è un piacere, dall’altro ti chiedi se te lo sei meritato. Diciamo che lo prendo come un premio alla responsabilità».
I paesaggi di questa regione le sono familiari?
«Ho visitato spesso Trieste e anche il Friuli. Conosco bene Gorizia, la zona di Spilimbergo. Sono paesaggi che hanno un sapore arcaico, come la lingua friulana. E io sono un cultore dell’arcaico, sia antico, sia contemporaneo».
Che cosa evocano i paesaggi italiani di oggi?
«Mi trasmettono un senso di perdita e di cambiamento radicale. Va detto, però, che ogni fotografo, come diceva Susan Sontag, è un conservatore e un ‘nostalgico attivo’. Quando vedi un muro che ti piace, speri che questo non sia spazzato via dal tempo prima di riuscire a fotografarlo».
Che futuro ha la fotografia in Italia?
«Un grande futuro, a patto che la s’intenda come arte alla tedesca, Kunst, cioè come forma di conoscenza, togliendola dal recinto dell’arte intesa come artigianato e manualità. Ovviamente dico questo con il massimo rispetto per l’artigianato, considerandomi anche un po’ tale».
A che cosa si sta dedicando in questi giorni?
«Sto lavorando nel mio archivio in vista di una mostra sul Friuli che il Craf mi ha chiesto per fine anno. Sarà allestita a San Vito al Tagliamento».
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