Igor Zobin, fisarmonica a cinque stelle

Uno strumento che presenta due caratteri ben distinti.Da un lato vivacità e allegria,dal sapore tradizionalmente folcloristico. Dall’altro una struggente sonorità dal raffinato retrogusto transalpino. Ne è interprete Igor Zobin, giovane e brillante fisarmonicista triestino. Studi iniziati alla Glasbena Matica e tre diplomi, fisarmonica, composizione e direzione d’orchestra. Una lunga serie di vittorie ai concorsi internazionali e quindi tournèe a ogni latitudine del globo. Oltre a una proficua collaborazione con l’Orchestra Sinfonica della Rai.
Maestro Igor Zobin, quando è iniziata quest’avventura?
«Avevo 5 anni. E fu amore a prima vista. Mi piaceva la fisicità di uno strumento che sta appoggiato al petto e respira con noi. Ho cominciato a studiare alla Glasbena e a 9 anni ho vinto il primo concorso internazionale. Poi ho conseguito il diploma al “Rossini” di Pesaro. Quindi un secondo diploma,in composizione,al “Tartini”. Inoltre, sono l’unico fisarmonicista italiano, diplomato anche in direzione d’orchestra. Ho conseguito il titolo all’Accademia musicale pescarese sotto la guida del maestro Donato Renzetti, uno dei migliori direttori al mondo».
Ben tre diplomi per un solo musicista
«La fisarmonica mi ha fatto scoprire il mondo della musica. E continuo a insegnarla alla Glasbena. Con la composizione ho imparato a mettermi “dall’altra parte”. La direzione è il coronamento di questo percorso. Creare arte insieme ad altre persone».
Il ricordo più vivo di quegli anni di studio?
«Era il 2004, in Francia. Ho partecipato al concorso mondiale Tim, il “Torneo Internazionale di musica”. Sono stato giudicato il miglior fisarmonicista e il terzo assoluto tra tutti gli strumenti. Su oltre 4000 partecipanti».
Qual è la sua ultima tournèe?
«In Estonia, a Tallin, pochi giorni fa. Una collaborazione con l’Accademia Musicale estone».
Quando suonerà a Trieste?
«Il 29 aprile, al Circolo Ufficiali, con il quartetto d’archi Chagall, in un concerto organizzato dalla Chamber Music».
La tastiera del pianoforte è orizzontale. La fisarmonica, invece, unisce la verticalità della tastiera all’orizzontalità del movimento del mantice.
«Questo rivela la complessità dello strumento. Che non è di immediato approccio. La sua asimmetria richiede un coordinamento particolare che si traduce in ricchezza e versatilità».
Perché la fisarmonica sembra ancora legata al folclore più che al repertorio classico?
«Per la sua giovane età e il repertorio ancora limitato.La fisarmonica classica ha solo 40 anni. Si suonano tante trascrizioni. Pertanto il fisarmonicista deve essere particolarmente duttile e avere orizzonti musicali molto aperti».
Ci può spiegare cos’è il bandoneon?
«È la variante piccola della fisarmonica, dalla sonorità molto simile. Usato soprattutto dalle orchestre di tango argentine».
In questi ultimi anni il tango sta conquistando sempre più estimatori. Perché?
«È una musica allegra ma anche introspettiva, colta. Proprio come la fisarmonica, esprime coinvolgimento e fisicità».
Nel 1988, Roman Polansky fece cantare “Libertango” a Grace Jones in “Frantic”. Ne seguì un famoso video in cui la cantante porta addosso una fisarmonica. Quanto è determinante l’immagine ai fini del successo?
«A volte l’immagine sembra sia più importante del contenuto. Per il grande pubblico Libertango è un’icona, un messaggio che arriva subito. Invece per lo studioso è più importante ricercare nuovi linguaggi e stili».
Confessi: quante volte ha eseguito Libertango?
«Credo… un milione. In tutte le formazioni possibili e ovunque. L’ultima volta in Canada».
Oltre alla fisarmonica, lei si sta dedicando sempre più alla direzione.
«La direzione è lo studio della maturità. Essa rappresenta una buona parte del mio presente. Collaboro con la “Mitteleuropa Orchestra” e in futuro spero anche con l’Orchestra del Teatro Verdi».
Sogni nel cassetto?
«Più che un sogno, un progetto già in cantiere. Che valorizzi la nostra posizione strategica sia dal punto di vista geografico che culturale».
Ce lo racconti.
«Ci sono tanti giovani diplomati al Conservatorio che non trovano modo di esprimersi. E non credono più in loro stessi. Vorrei dare loro una prospettiva. Penso a un progetto giovanile per Trieste che unisca tutti quelli che amano la città e la sua cultura».
Prossimi passi?
«A questo punto bisogna prendere l’iniziativa. E anche la parola, senza attendere che qualcuno ce la dia».©RIPRODUZIONE RISERVATA
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