Il mondo dei Missoni conquista Londra con abiti, colori, arte

Tai e Rosita “dialogano” con pittori contemporanei dal 6 maggio al Fashion and Textile Museum
Di Arianna Boria
Ottavio Missoni.ANSA/OLDPIX
Ottavio Missoni.ANSA/OLDPIX

di ARIANNA BORIA

Il mondo colorato di Ottavio Missoni per la prima volta a Londra. Dal 6 maggio al 4 settembre, al Fashion and Textile Museum della capitale britannica, sarà riallestita la mostra “Missoni, l’arte, il colore”, che è stata aperta da aprile a novembre 2015 al Museo Ma*Ga di Gallarate, richiamando quarantamila visitatori. È stato il primo, grande omaggio a Tai (morto il 9 maggio 2013) e alla sua avventura creativa, quello che a Trieste non ha trovato spazi, risorse e neanche l’idea.

Curata da Luciano Caramel, Emma Zanella, direttrice del Ma*Ga, e da Luca Missoni, figlio di Ottavio e Rosita e direttore dell’archivio della maison di moda fondata dai genitori, la mostra londinese propone 50 abiti, 45 opere pittoriche dalle collezioni del museo e della famiglia, dieci arazzi di Tai, alcuni suoi dipinti e una sezione documentale su opere ed esposizioni che hanno per tema Missoni. «La mostra è un po’ “asciugata” rispetto a quella di Gallarate, perchè gli spazi sono più piccoli - spiega Emma Zanella - ma il percorso è rispettato in tutte le sezioni. I responsabili del museo l’avevano visitata al Ma*Ga e ne erano rimasti entusiasti. Sono tornati, ci hanno chiesto di riprogettarla e poi ci hanno inviati».

Apre la videoinstallazione di Ali Kazma “Casa di moda”, quindi si passa a “Radici”, in cui sono esposte opere, dagli anni ’20 ai ’50, di Sonia Delaunay, Gino Severini, Giuseppe Capogrossi, Tancredi, Angelo Bozzola, Giacomo Balla, Emilio Vedova a delineare i riferimenti e le fonti di ispirazione dei Missoni. Ecco poi “Moda e arazzi” e ancora i “Dialoghi” tra l’intensa attività creativa di Ottavio e Rosita e la cultura visiva italiana tra gli anni ’60 e ’80: Gottardo Ortelli, Claudio Verna, Irma Blank, Alberto Biasi, Luigi Veronesi, Edoardo Landi, Enrico Prampolini, Gianni Monnet, Vedova, Bruno Munari, Atanasio Soldati e il concittadino triestino Gillo Dorfles.

L’omaggio ai Missoni si inserisce in una stagione di valorizzazione della cultura italiana a Londra, con “Botticelli reimagined” al Victoria & Albert Museum, il mistero del Giorgione alla Royal Academy, il Leonardo ingegnere celebrato allo Science Museum (fino a settembre) e, fino al 14 agosto, “Sicily: Culture and Conquest” al British Museum. A corredo dell’allestimento al Fashion and Textile Museum saranno promossi dal Ma*Ga incontri su moda e arte, in collaborazione all’Istituto italiano di cultura a Londra.

È la stessa curatrice Emma Zanella ad anticiparci un percorso ideale nelle sale.

. Quando si accostano arte e moda c’è sempre qualcuno che storce il naso. Lei che cosa ne pensa?

«Abbiamo discusso molto della questione all’interno del comitato scientifico e alla fine siamo convinti di aver imboccato una strada che definirei “felice”. Arte e moda non sono una l’ancella dell’altra, ma c’è un confronto libero tra la ricerca formale dei Missoni e gli artisti storici che hanno creato l’alfabeto visivo da cui sono partiti, o di cui erano amici o con cui collaboravano. La mostra è un affondo sulla creatività Missoni, sull’uso che fanno del segno, del colore, della forma, affiancato a opere storiche o a loro contemporanee che utilizzano, con esiti estetici autonomi e differenti, i loro mezzi espressivi. Si tratta di dialoghi tra due modi differenti di fare ricerca, ma che si relazionano strettamente. Questo vale in particolare per uno stilista come Ottavio Missoni perchè il suo lavoro è fortemente centrato sul segno, sul colore e sulla materia, dunque sui fondamenti dell’arte astratta. Nella sua produzione pittorica e negli arazzi, poi, la connessione con il mondo dell’arte è ancora più evidente.

I riscontri?

«Da parte di pubblico e critica sono stati positivi in entrambi gli ambienti, quello dell’arte e quello della moda, perchè non ci sono state forzature, le analogie sono uscite naturalmente, come un’eco, dalla produzione di Missoni, costituita da una vera e propria ricerca linguistica e formale».

Una mostra del 2004 mise a confronto “Tai” e Tiziano. Un eccesso?

«Secondo me più che Tiziano è appropriato far riferimento a un certo tonalismo veneto, ai colori stemperati, alle sfumature che amplificano la gamma cromatica. Infatti, tra le cento opere che avevamo esposto un anno fa al Ma*Ga di Gallarate ce n’erano alcune, come quelle di Dorazio e Tancredi, in cui prevale la ricerca segnica e ritmica, altre in cui prevale la ricerca cromatica, la “texture”, la variazione dei toni».

Quello del Ma*Ga è stato il primo omaggio postumo a Missoni. Che cosa vi ha guidato nella scelta del taglio?

«Siamo partiti lavorando con la famiglia, con l’archivio, con Luca Missoni. In occasione di Expo 2015 avevamo pensato di mettere in relazione il nostro museo con la maison, che nascono entrambi a Gallarate nei primi anni ’50. Non volevamo fare un’antologica nè un’esposizione sulla storia della famiglia, o sui rapporti per esempio con il mondo teatrale, tutti filoni già esplorati. Il punto di partenza è stato Ottavio Missoni artista, pittore e creatore di arazzi come opere uniche, che già negli anni ’70 esponeva in importanti gallerie d’arte a Venezia e Milano. Così ci siamo concentrati sulla potenza del suo lavoro e sulla ricerca di entrambi i Missoni, Ottavio e Rosita, che hanno creato uno stile inconfondibile, disegnando un percorso omogeneo e ben cadenzato, guidato dal continuo confronto con l’arte e da affondi solo sulla maison. La scelta degli artisti è stata valutata con la famiglia in un dialogo continuo. Sono quelli che i Missoni amano, che hanno amato, Depero, Balla, Sonia Delaunay, per cui Rosita ha una passione particolare. La mostra apre con “Casa di moda”, un’opera video di Ali Kazma, che nel 2009 ha avuto accesso all’azienda e l’ha creata per la Biennale. L’arte è entrata nel mondo produttivo Missoni, dagli operai alla sfilata finale, per rileggerlo in modo autonomo. Un rapporto rispettoso tra due mondi indipendenti ma che si guardano in maniera profonda».

Voi curatori citate futuristi, astrattisti... Ottavio definiva i suoi disegni,“pupoli”, in triestino. Non sono riferimenti inconsci?

«Sono sia amori istintivi che conoscenze. È stato Ottavio a introdurre Rosita nel mondo dell’arte. Ma noi non vogliamo parlare di debiti, piuttosto di un universo entrato nel suo bagaglio espressivo e visivo, nelle esperienze che si portava dietro. Nella sezione della mostra che si intitola “Dialoghi”, per esempio, è rappresentato il rapporto diretto tra Missoni e Tancredi negli anni ’70.

Che cosa intende quando parla di “metodo” di Missoni?

«Direi piuttosto “linguaggio” Missoni, di Ottavio e Rosita, che si sono sempre compensati nel lavoro creativo, oltre che amati nella vita. In Ottavio l’aspetto creativo, precede la moda in senso stretto: schizzi, disegni, prove di colore, cartelle cromatiche. Il loro linguaggio è il segno, la forma, il colore e aggiungerei la morbidezza, perchè operano sulla maglia. Un lavoro molto simile a quello dell’artista, che ha degli strumenti e li piega al suo linguaggio. Nella mostra a Gallarate c’era un’installazione di cento abiti, dagli anni ’50 al 2014, a rappresentare l’universo creativo e linguistico Missoni. Negli anni si vedono le trasformazioni, ma il codice rimane».

Secondo lei qual è l’aspetto più innovativo?

«Il lavoro sulla materia. I Missoni creano una maglia che ha un’identità precisa, sia per la scelta di colori e tonalità sia per la morbidezza e la flessibilità. E poi ho imparato un aspetto fondamentale del loro metodo: prima creano la materia e da quella arrivano all’abito finale».

Com’è stato collaborare a una mostra con una casa di moda?

«Fondamentale è stato il ruolo di Luca Missoni, che da anni lavora con i suoi collaboratori per ordinare e dare una struttura all’archivio. Hanno fotografato, inventariato, catalogato tutto, migliaia di abiti, schizzi, arazzi. Un lavoro preparatorio dell’intera storia della maison, le radici di un museo d’impresa. Lavorare con lui, e naturalmente con Rosita e Angela, è stata un’esperienza molto intensa e riuscita, si è creata una forte comunione di idee e di intenti».

La mostra girerà ancora?

«Stiamo lavorando per portarla nel 2017 in Cina e Australia... sarebbe davvero un grande successo».

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