Il mondo di Kafka in un videogame a prova di logica

Esce il 6 aprile con stile fiabesco e tanti rompicapi Prima di lui Omero, Dante, Shakespeare e Lovecraft
Di Paolo Lughi

di PAOLO LUGHI

Il videogame all’esame di maturità? Dopo aver superato brillantemente la prova di Storia con “Assassin’s Creed” (salti temporali tra varie epoche, dalle Crociate alla Rivoluzione industriale), e quella di Storia dell’Arte con “Iconoclast” (dove il giocatore diventa Marcel Duchamp che “libera” dipinti “imprigionati” nei musei), ecco che per l’universo delle console si avvicina la più impegnativa prova di letteratura. Uscirà infatti il 6 aprile “The Franz Kafka Videogame”, presentato in un suggestivo trailer (già in rete) come “il gioco dove gli enigmi incontrano il mondo kafkiano”, avvertendo: “Nessun boss da combattere, solo rompicapi, assurdità e surrealismo”. Lo stile grafico fiabesco è molto lontano dai videogiochi iperrealistici che dominano il mercato e bisognerà esercitare la logica per districarsi nel percorso. Siamo dunque arrivati a una svolta? Al videogame definitivamente “adulto”, anzi “intellettuale”?

Non è la prima volta che un gioco elettronico si basa sulla letteratura, ma stavolta la scelta è più coraggiosa e insolita. Le pagine di Kafka hanno di sicuro potenzialità meno avventurose e pop di quelle di altri giganti come Omero, Dante, Shakespeare o Lovecraft, inconsapevoli ispiratori di diversi giochi d’azione e già oggetto di innumerevoli e spesso facili adattamenti cinematografici.

Nell’ambito dei mass media, un esperimento incoraggiante lo aveva realizzato nel 1991 Steven Soderbergh col film “Kafka” (con Jeremy Irons). Però sembra difficile trasferire in videogioco temi, ambientazioni e personaggi ispirati al “Castello” e agli altri scritti del grande autore mitteleuropeo (legato a Trieste perché impiegato nell’agenzia delle Assicurazioni Generali di piazza san Venceslao, nella sua Praga). Ci riuscirà senza delusioni “The Franz Kafka Videogame”, realizzato dal pluripremiato sviluppatore russo Denis Galanin, lo stesso di “Hamlet”?

Ma non c’è da meravigliarsi se il legame fra letteratura e videogame continui a svilupparsi e anzi parta da lontano, dal boom degli anni Novanta, dai giorni di gloria della playstation della Sony e delle dive digitali Lara Croft di “Tomb Raider” e Jill di “Resident Evil”. In fondo, la struttura narrativa dei videogiochi è molto simile a quella delle fiabe – l’antropologo Vladimir Propp sarebbe felice – popolate da eroi ed eroine da salvare, cattivi da contrastare, prove da superare, obiettivi da raggiungere. «Basti pensare a una delle saghe interattive più celebri e di maggior successo, ovvero Mario della Nintendo - spiega Marco Consoli, giornalista di “Nova 24” e “Il Venerdì” - «Fin dai tempi di “Donkey Kong”, uscito nel 1981, la sua missione è quella di salvare la fidanzata in pericolo dalle grinfie del gorilla».

Così i generi sono presto arrivati al centro della progettazione dei videogiochi, con quella proverbiale decina di romanzi che sarebbero stati scritti e riscritti nei corsi e ricorsi della letteratura. I costumi cambiano, ma la matrice di fondo resta. E così, visto che alla fine si approda sempre lì, tra i meandri della letteratura più o meno “alta”, perché non attingere direttamente all’inventiva degli autori di romanzi?

Il primo scrittore, più di vent’anni fa, a lanciarsi in questa avventura è stato Clive Barker, uno dei più famosi maestri dell’horror, ideando la struttura del videogame “Undying”, seguito dall’italiano Niccolò Ammaniti, influenzato dal nuovo linguaggio fin dagli esordi con “Branchie”. Poi è arrivato Paulo Coelho con “Pilgrim” del 1998, nato sull’onda del successo del suo romanzo, ma abbandonando meditazioni e angosce dell’anima per trasportare il giocatore in complicatissime vicende storiche. Anche un autore di genere come Michael Crichton non ha saputo resistere alla tentazione con “Timeline”, ambientato nella Francia del Medioevo. Come del resto l’inventore del tecno-thriller Tom Clancy, che nel lontano 1996 avviò una casa di software per giochi tratti dai suoi romanzi, che sfornò due anni dopo “Rainbow Six”, uno dei videogame ancora oggi più amati, fedelissimo al suo libro.

Insomma, ci si accorgeva che i videogiochi raccontavano storie, e potevano a loro volta influenzare altre narrazioni. Sempre negli anni Novanta, registi come Salvatores, con “Nirvana”, riflettevano sui rapporti tra uomo, nuove tecnologie e videogiochi. E Cronenberg realizzava l’affascinante “eXistenZ”, con un universo in cui nulla corrisponde alle apparenze, un mondo strano in cui non si sa dove ci si trovi, se dentro o fuori dal gioco.

Col tempo, altri personaggi, storie e ambienti letterari hanno sollecitato la curiosità degli ideatori di giochi elettronici. Se il “Signore degli anelli” di Tolkien ha influenzato diversi videogame anche prima dei film di Peter Jackson, sono stati poi trasposti per le console classici antichi e moderni del fantastico come l’Odissea di Omero, l’Inferno di Dante, “Dracula” di Stoker, “Alice” di Carroll, “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” di Stevenson, “La guerra dei mondi” di Wells, “Fahrenheit 451” di Bradbury, “Dune” di Herbert.

Senza dimenticare che due saghe di videogame oggi popolarissime, “Assassin’s Creed” e “The Witcher”, sono a loro volta ispirate a romanzi. Rispettivamente “Alamut”, firmato nel 1938 dallo scrittore triestino sloveno (nato a Trieste nel 1903 e morto a Lubiana nel 1967) Vladimir Bartol, e la “Saga di Geralt di Rivia” dell’autore fantasy polacco Andrei Sapkowski. Ma non sono mancati i videogiochi che, pur essendo molto “letterari”, non si legavano a un particolare romanzo ma elaboravano diverse suggestioni da scrittori. Come il celebre “Silent Hill”, che deve ringraziare trame e atmosfere horror di Stephen King, oppure “Bioshock”, dove la città di Rapture è evidentemente ispirata alle opere della statunitense Ayn Rand, oppure ancora “Alone in the Dark”, sorta di mix tratto dagli scritti di H.P. Lovecraft.

Proprio il grande Lovecraft, il “sognatore di Providence” così spesso saccheggiato ma anche travisato dal cinema, è l’autore che invece più fedelmente è stato adottato e interpretato dal mondo dei videogame, influenzandoli e contaminandoli col suo immaginario complesso e la sua cosmogonia di figure mostruose e ostili. Si potrebbero citare molti titoli (“Bloodborne” è solo l’ultimo di una nutrita schiera), ma il più ispirato forse rimane “Call of Cthulhu”, un “survival horror” del 2005 tratto da uno dei più noti racconti dello scrittore americano.

E dopo che i videogiochi sono entrati al Louvre, al Victoria & Albert e al MoMa, non resta che attendere “The Franz Kafka Videogame” per verificare se è in atto una nuova “metamorfosi” nel rapporto fra letteratura e videogiochi. Qui il protagonista K. ottiene un'improvvisa offerta di lavoro, e questo fatto cambia la sua vita, costringendolo a un viaggio. Una trama che sembra sviluppare uno spunto di Kafka, che un giorno scrisse: «In ufficio. Sono alle Assicurazioni Generali, nutro però la speranza di sedermi un giorno sulle sedie di paesi molto lontani, di guardare dalle finestre dell’ufficio su campi di canna da zucchero o cimiteri musulmani».

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