Il “segreto” inconfessabile di Voghera: nuova edizione per il romanzo del ‘61
Nuova edizione per l’opera firmata Anonimo Triestino: secondo Claudio Magris è tra i pochi del dopoguerra a lasciare il segno

Ci sono libri che arrivano senza preavviso, senza biografia d’autore, senza appigli. “Il segreto”, pubblicato da Einaudi nel 1961 e firmato soltanto Anonimo Triestino, appartiene a questa categoria di oggetti letterari non identificati: testi che sfuggono alla catalogazione e che, proprio per questo, continuano a esercitare una forza magnetica e inquieta.
È un romanzo breve, quasi un monologo compulsivo, che si consuma in una stanza mentale più che in uno spazio geografico, ma il vento freddo di Trieste – la città taciuta eppure onnipresente – soffia tra le righe come un testimone silenzioso.
A più di sessant’anni dall’uscita, Il segreto continua a vivere una sorta di seconda vita sotterranea: non è un libro popolare, non ha mai aspirato a esserlo, ma chi lo incontra difficilmente lo dimentica. È un testo breve, ma densissimo: un’esplorazione dell’ambiguità, della vergogna, della memoria come trappola. E forse proprio in questa scelta di non rivelare mai del tutto il “segreto” sta la sua forza: nel ricordarci che i gesti più decisivi di un’esistenza non sono quelli che raccontiamo, ma quelli che non riusciamo a raccontare davvero.
Con una decisione meritoria, Alexandros Delithanassis ha deciso ora di ripubblicarlo con Asterios editore nella collana San Marco, vestito di una copertina rigida color sabbia (il libro sarà presentato all’Antico Caffè San Marco il 17 dicembre alle 18 alla presenza di Elvio Guagnini e Stelio Vinci).
«Ho salvato un autore dall’oblio», sorride Delithanassis, che ammette che col romanzo è stato amore a prima vista. A suggerirgli di rimettere in circolo un libro ormai introvabile sono stati Peter e Christa Pock, che avevano tradotto in tedesco Il segreto per l’editore Folio di Vienna con il titolo di Das Geheimnis.
Il libro, uno dei «pochi romanzi italiani del dopoguerra a lasciare il segno nel lettore», come nella premessa lo definisce Claudio Magris, ha alimentato per anni la curiosità intorno all’identità dell’autore.
Ora è acclarato che l’Anonimo triestino è Giorgio Voghera – lo scrittore che ha espresso meglio di ogni altro la cultura della Trieste ebraica inabissatasi con la Shoah – il quale amava depistare e imbrogliare le carte; per nascondersi meglio aveva anche suggerito che l’autore fosse il padre Guido, alimentando un gioco di rimandi e pudori.
Elvio Guagnini nell’introduzione indaga le ragioni di questo sviamento, tra le quali anche «un gesto di affettuosa appropriazione della figura paterna».
Forse dietro la reticenza di Voghera c’era anche la consapevolezza che nel panorama italiano dei primi anni Sessanta, Il segreto sarebbe apparso come un oggetto estraneo, lontano dalla tradizione nostrana del realismo postneorealista. La cultura edonista di quegli anni, frutto del miracolo economico, era lontanissima dal cammino interiore di un adolescente e poi di un giovane che aveva rinunciato al successo, anche in campo affettivo: al centro, infatti, sta il suo amore, segreto, per una compagna di scuola che, ignara, non avrebbe potuto mai corrispondergli.
Mino Zevi analizza sistematicamente il proprio comportamento, giustificandolo alla luce dei suoi convincimenti: invece di avvicinare la sua Bianca, le sta lontano, ma non può non fantasticare e sognare incontri reali che avrebbero dato campo a dialoghi sapienti. Attribuisce all’amata, come Dante a Beatrice, qualità angelicanti ma sa trovarle anche molti difetti. Piega infine la propria energia vitale, il sesso, verso l'eros, che sublima proprio con la rinuncia.
La scelta dell’anonimato rafforza questa sensazione di distanza, come se l’autore si sottraesse volontariamente al quadro culturale del tempo per costruire un proprio territorio mentale, claustrofobico e spietato. «Il segreto – aveva scritto Cristina Benussi su questo giornale alcuni anni fa – è forse ancora più attuale oggi, quando il desiderio compulsivo di notorietà ha prodotto forme esasperate di narcisismo».
La scrittura del libro, tesa e quasi febbrile, procede a spirali: ogni giro riavvicina il lettore al cuore oscuro dell’episodio, ma senza mai lasciargli il conforto della piena rivelazione. L’Anonimo Triestino sembra voler dimostrare che la confessione è un atto impossibile: si può tentare di dire la verità, ma nel momento stesso in cui la si dice la si altera, la si deforma, la si protegge.
Come l’Uomo difficile di Hoffmansthal, in cui il protagonista, l’aristocratico Hans Karl Buhl, mai confesserebbe il suo amore per Helène, così anche Mino Zevi esprime quella affascinante stimmung della civiltà mitteleuropea prossima all’estinzione.
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