Il turismo come unica via per aiutare gli alcolisti a smettere di ubriacarsi

di Mary B. Tolusso
L'estate, si sa, è il tempo degli svaghi e quindi dei viaggi. Oggi certo per realizzare qualsiasi spostamento non c'è alcun problema, basta un semplice clic sullo smartphone per prenotare treni, voli e alberghi. Per organizzare un viaggio fattivamente, oggi ci mettiamo il tempo impiegato per lavarci le mani. In genere non ci chiediamo quando è nata tutta questa comodità, già attiva appunto con le agenzie destinate ai turisti, quei comodi uffici dove una signorina ben truccata sta dall'altra parte del banco per snocciolarti rapide informazioni. Un comfort senza prezzo, tutto viene programmato, dalla navetta che ci porterà sull'aereo all'accoglienza in terra straniera di chi ci porge un cocktail in mano. Il primo a pensare a simili coordinamenti è stato Thomas Cook. Proprio il Cook della "Thomas Cook & Son", la più celebre agenzia di viaggi al mondo, nata per mano del celebre Thomas a metà 800. L'intraprendente Cook aveva constatato di persona - da battista ortodosso e acerrimo nemico dell'alcol - che solo l'idea e la pratica del "viaggio" poteva distrarre il popolo dai più nocivi vizi. E con tutta probabilità aveva ragione visto che il suo genio si inventò quello che oggi potremmo definire: turismo di massa. Ne ha scritto . Masolino D'Amico, popolare anglista e critico teatrale, che ha prestato la penna al romanzo "Il viaggiatore inglese" (Skira, pag. 89, euro 13,00), praticamente una biografia di Thomas Cook (1808-1892). «Il libro nasce dopo la pubblicazione del precedente "Il giardiniere inglese", edito sempre da Skira su stimolo dell'amica Eileen Romano che voleva ideare un libro che fosse un romanzo ma anche un documento - dice Masolino D'Amico -. All'inizio la struttura che avevo scelto, quella del dialogo, non aveva convinto, ma dal momento che il volume ha avuto molto successo mi è stato rinnovato l'invito a raccontare la vita di un personaggio storico e mi sono imbattuto su Thomas Cook, colui che si inventò la prima agenzia di viaggio».
Un tipino umano piuttosto antipatico comunque…
«Ma certo. Infatti le varie monografie su Cook sono vicende noiosissime, lui era un grande seccatore, poi però si scopre una storia di successi. Per rendere il tutto meno monotono ho usato lo stesso escamotage del precedente volume e cioè il dialogo. In questa occasione la conversazione avviene in un aereo tra un giovane aspirante produttore e un agente cinematografico che accetta di buon grado di ascoltare la storia di Cook, la stessa che il giovane vorrebbe portare a Hollywood».
Cook è stato il primo artefice di una vera e propria agenzia di viaggio. Ad esaminarne i programmi proposti un secolo e mezzo fa, non sembrano così diversi dai nostri…
«In fondo ha inventato tutto lui. La cosa buffa è che questo primissimo progetto di agenzia turistica, nacque per motivi diversi. La fissazione di Cook era allontanare gli operai dalla bottiglia, impresa quasi impossibile perché questa gente non aveva altro. Si imbatté così, del tutto casualmente, nell'idea del viaggio come unica possibilità di divertire e sviare. Dobbiamo tenere presente che i poveri, nell'Inghilterra dell'800, non avevano alcuna possibilità di viaggiare, molti morivano senza aver mai visto il mare della loro isola».
E quindi Cook inventa il viaggio di massa.
«Inventa tutto, i tragitti, le prenotazioni alberghiere, gli eventi di accoglienza, i travel check. Era molto bravo e in poco tempo, come sappiamo, le agenzie "Thomas Cook & Son" divennero un monopolio colossale».
Nel suo libro il viaggio viene proposto soprattutto all'inizio come una sorta di denominatore democratico, che diviene il miglior divertimento possibile. Ma perché agli uomini piace così tanto spostarsi?
«Suppongo che sia legato a un'idea di cambiamento. Nel "De Rerum Natura" Lucrezio descrive dei giovani ragazzi insoddisfatti che prendevano la biga e si precipitavano a Ostia per guardare il mare. Uno spera che sostituendo un luogo le cose si modifichino. È un po' quello che succede oggi quando si vuole aiutare una persona che sta male, si sente spesso dire: facciamogli fare un bel viaggio e chissà che poi le cose cambino».
Affascinante, leggendo "Il viaggiatore inglese", è anche l'aspetto didattico su temi sociali, economici e culturali dell'epoca. Per esempio la questione delle donne.
«Bisogna pensare a un'epoca molto chiusa, per cui era impossibile immaginare le donne in viaggio da sole, mentre Cook riesce a garantire una tale organizzazione che il gentil sesso non ha paura di spostarsi a Firenze, Parigi, addirittura in Terra Santa senza accompagnatore. Una faccenda piuttosto all'avanguardia se pensiamo che in Italia solo cinquant'anni fa le donne temevano di intraprendere un viaggio senza chaperon».
Cook ha segnato indubbiamente la differenza tra il viaggiatore e il turista.
«Diciamo pure che si è inventato il turista. La parola esiste dal '700, ma era un turismo riservato agli aristocratici e ai benestanti. Cook invece ha inventato il viaggio mordi e fuggi: facciamolo fare a tutti, andiamo tre giorni a Parigi e torniamo indietro. Insomma si è inventato il turismo odierno, che allora infastidiva un bel po' di caste privilegiate».
Come lei ha riportato, non mancavano cinici giornalisti che ironizzavano su questo primo approccio al turismo di massa.
«I giornali li leggevano i ricchi e i giornalisti, servi del potere, non mancavano di essere accondiscendenti con i padroni descrivendo queste folle in Piazza della Signoria come orde di sudici che non sapevano comportarsi. In realtà le cronache sui viaggi di Cook testimoniano come i suoi turisti non abbiano mai creato disordine. Oppure li prendevano in giro perché inseguivano i reali, un po' quello che accade oggi nei luoghi turistici dei vip, solo che oggi il potere ce l'ha anche la massa e quindi il giornalista la asseconda».
Lei l'avrebbe fatto un viaggio con l'azienda Cook?
«Oggi non lo farei un viaggio organizzato, ma quella volta l'avrei fatto. E poi non c'erano alternative, come si sarebbe potuta raggiungere senza una tale organizzazione la Terra Santa? O il Nilo?».
Nelle vicende che racconta si incrociano anche personaggi come Dickens, Carroll, Verne o il padre di Virginia Woolf.
«Il padre della Woolf per esempio divenne il primo presidente dell'associazione alpinista inglese in Svizzera. Anche quella fu una faccenda piuttosto nuova grazie a Cook e soprattutto alla rivoluzione industriale che fece scoprire, agli inglesi per primi, la bellezza della natura».
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