Nell’inferno di Dachau: Paolo Bisol racconta in un libro le storie dei deportati dal Friuli Venezia Giulia

L’autore ha ricostruito le vicende di 226 internati friulani e giuliani. I freddi numeri diventano storie. Venerdì la presentazione a Pordenone

Paolo Baron
Il monumento che ricorda le vittime nel campo di concentramento di Dachau
Il monumento che ricorda le vittime nel campo di concentramento di Dachau

“Alfredo Venerus” nato a Pordenone il 7 febbraio 1896, residente a Venezia, docente all’Accademia di Belle Arti, sposato e con due figli, “era stato catturato nella zona di Nimis e tradotto in carcere a Udine. A Dachau, è il numero (112962). Trasferito a Neuengamme viene ritenuto idoneo a lavori da manovale. Deportato a Meppen-Versen è fra i liberati all’Außenlager Sandbostel, dalle truppe inglesi a fine aprile 1945. Con il solo cognome Venerus risulta ricoverato all’Ospedale di Bassum, nei pressi di Amburgo, dove muore per cause ignote ma riconducibili alla prigionia, il 26 giugno 1945. È sepolto al Cimitero d’onore italiano in Amburgo. Riconosciuto Partigiano combattente dal 1° maggio 1944”.

Alfredo Venerus non è solo uno dei 226 deportati dal Friuli e dalla Venezia Giulia la cui storia è raccontata nel libro Prima Fermata: Dachau (Edizioni Cleup)” di Paolo Bisol, ma è anche il prozio dello scrittore, il fratello di suo nonno Umberto, a cui è dedicato il volume. Libro con prefazione di Gian Antonio Danieli, presidente emerito dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere a Arti di Venezia.

«Il cruccio di mio nonno è sempre stato quello di non sapere dove era stato sepolto il fratello» racconta Bisol, 79 anni, pordenonese di nascita, padovano di adozione, laureato in Scienze Biologiche e già prof ordinario di Ecologia e prorettore con delega al Diritto allo studio all’Università di Padova. «Come famiglia abbiamo scoperto dove era sepolto solo nel 2000 quando mio nonno non c’era più. Ma essendo Amburgo, la cosa non tornava, visto che risultava internato a Dachau, luogo troppo distante da Amburgo».

L’occasione per ricostruire con dovizia di particolari le storie dei 226 deportati a Bisol è stata data da un articolo del Domani pubblicato nel 2024, nel quale si illustrava come le SS usassero macchine elettromeccaniche della Ibm per gestire i prigionieri. Per cui ha cominciato a studiare gli archivi di Arolsen o, più precisamente, la banca dati di Arolsen Archives, International Center on Nazi Persecution, organizzazione cui aderiscono 11 Stati, che conserva documenti concernenti le deportazioni sia originali nazisti sia quelli prodotti dalle forze di occupazione post-bellica della Germania.

«Nel complesso – prosegue Bisol – si tratta di oltre 30 milioni di copie fotografiche di schede, moduli, liste, resoconti e altro ancora. Dalle ricerche su mio prozio, le consultazioni si sono estese fino a indagare su tutti i prigionieri che erano con lui sul treno. Per interpretare le parti dei moduli scritte a matita ho usato l’intelligenza artificiale ChatGPT. Così, quello che prima era del tutto incomprensibile poteva avere un senso. Alla fine, mettendo insieme tutti gli elementi, si è ottenuto un quadro complesso di relazioni che è divenuto un modo di onorare la memoria dei deportati».

Prima Fermata: Dachau è innanzitutto un viaggio nella memoria della deportazione friulana e giuliana. Ma è anche una ricerca della verità storica minuziosa, scientifica, appassionata, emozionata. Che ricostruisce i percorsi della detenzione, i campi di destinazione, le condizioni di vita. Un libro che restituisce ai 226 deportati, trasformati in freddi numeri dalla ferocia nazista, i loro nomi, i loro volti, la loro storia.

«Per quanto incomplete e limitate a pochi dati anagrafici siano le informazioni – sottolinea Bisol – è giusto aver ricostruito quale testimonianza pro memoria, nel senso dato dai latini. Come scriveva Cicerone: la vita dei morti è riposta nella memoria dei vivi».

Il volume prende spunto dal Trasporto 87, il convoglio ferroviario con le 226 persone in stato di detenzione partito da Trieste il 2 ottobre 1944, che aveva fatto sosta prima a Udine e poi a Gorizia e che arrivò a Dachau tre giorni dopo. Persone arrestate durante i rastrellamenti tedeschi a seguito degli scontri come le brigate partigiane nella “Zona libera del Friuli orientale”, nei paesi di Attimis, Faedis e Nimis tra il 26 e il 30 settembre 1944.

Il libro sarà presentato venerdì 31 ottobre, alle 18 alla Casa del popolo di Torre di Pordenone

Riproduzione riservata © Il Piccolo