Intima storia di Paul il dj triste che insegue i sogni con la musica

Il quarto film di Mia Hansen-Løve racconta le illusioni di una generazione destinata a un’esistenza malinconica
Di Federica Gregori

La bibbia dello spettacolo Variety l'ha definita “uno dei dieci registi emergenti da conoscere a tutti i costi”. Mia Hansen-Løve, parigina classe 1981, è già al quarto film: e questo suo ultimo “Eden”, intimo romanzo di formazione che tratteggia con andamento ipnotico una piccola storia di vita lunga vent'anni nasce da un tessuto che la regista conosce fin troppo bene. La trama s'ispira infatti alle vicende del fratello Sven, noto dj attivo negli anni ’90 sulla scena elettronica francese che spopolò in Europa sbarcando persino oltreoceano. E se il “rave” era il ritrovo deputato a queste sonorità pulsanti, la pronuncia francese nel film lo distorce in “rêve”, il sogno, quello a cui tutti tendiamo pagando un prezzo spesso salato per perseguirlo: un'assonanza forse non casuale che è il cuore e motore del film.

L'alter ego filmico di Sven è Paul, interpretato dall'ottimo Felix De Givry, ventenne dj parigino, con una storia come tanti: “métro boulot dodo” - cioè la normale e noiosa routine -, amici, spostamenti, ragazze, lo studio svogliato all'università che viene sempre dopo la grande passione, la musica. Ma di Paul colpisce subito l'immobilismo, la mancanza di slanci, l'apatia. Quella sua incapacità a esprimere le emozioni, a vivere le situazioni nella loro pienezza, quel suo sguardo statico e impassibile che ritroveremo lungo tutto il film, a sorpresa anche nei momenti di felicità. Come se ogni palpito, ogni piccola emozione fosse incanalata con il contagocce nella musica, dove in effetti Paul ha fatto convergere ogni pulsione arrivando a intuizioni positive. Con l'amico ha imbastito un duo, i Cheers, che gira piatti con un certo riscontro di pubblico, ricercando nelle sonorità del garage quell'unione di “caldo-freddo mischiati insieme”. Parallelamente un altro duo sta affacciandosi sulla scena delle notti parigine: due ragazzotti che si fanno chiamare Daft Punk.

Sciattamente spacciato come film su di loro o sulla scena elettronica francese “Eden”, che è ben altro, attribuisce al noto duo una valenza simbolica, quasi una nemesi di Paul e compagno che vedono i colleghi crescere a fianco a loro, per poi staccarli e fargli presto mangiare la polvere. Paul, incapace di cogliere i mutamenti anche nell'evoluzione musicale, sarà condannato a continuare a suonarli e, beffa nella beffa, si innamorerà proprio ascoltando una loro celebre ballad. Tra i vari giri di letto a fine dj set, quattro donne sembrano fissarsi, nell'arco degli anni, e lasciare traccia nella sua esistenza. Mera illusione: se la vita scorre per tutti, quella del protagonista è cristallizzata, blindata nell'illusorietà di un eterno quanto inquietante presente. Anche nel fisico: più volte chi lo incontrerà esploderà in un “sei sempre uguale!” che non suona però come un complimento. Inetto a vivere e a scegliere, blindato nell'indeterminatezza, incapace di prendere decisioni, amaramente Paul vedrà le compagne dileguarsi, una dopo l'altra, per rifarsi una vita.

Intimamente connessa alla club culture, la cocaina è l'altra grande protagonista, silenziosa ma onnipresente, del film. Consumata nel cuore della notte, nel fragore assordante della disco o tra le mura domestiche nella quiete ovattata del mattino, la “neve” è la compagna quotidiana di tutti i personaggi che ne fanno uso con estrema naturalezza, come di qualcosa di normale e ordinario. Ci si chiederà a questo punto che succederà a Paul. Esattamente nulla. Fedele alla granitica fissità del protagonista, la narrazione della Hansen-Løve procede lineare, senza scossoni, volutamente statica: solo uno spettatore distratto potrebbe sbrigativamente giudicarla monotona. È procedendo attraverso questo flusso che la regista costruisce invece un'empatia di rara intensità, dimostrando una sensibilità nel racconto capace, con naturalezza e pochi tocchi, di scivolare lungo 130' in cui non accade, in pratica, mai nulla di rilevante. Profondamente amaro e malinconico, “Eden” procede per accumulo, riflettendo sul tema portante su cosa significhi rincorrere i propri sogni e che prezzo abbia il perseguire un obiettivo dai contorni sempre più opachi e meno definiti, fino a risvegliarsi 20 anni dopo quando è troppo tardi per girare pagina. De Givry, Pauline Etienne, Vincent Macaigne e tutto l'ottimo cast corale fanno magistralmente il resto, catturando ogni dettaglio e regalando sfumature anche nel gesto più insignificante.

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