Inutile il nazionalismo asfittico delle “piccole patrie” sovraniste di fronte alle sfide globali

“Le tre profezie-Appunti per il futuro”, scrive Giulio Tremonti per l’editore Solferino (pagg. 176, euro 16,00). Parla di Europa in crisi, limiti della globalizzazione, conflitti politici e sociali. Si sofferma su Marx e il suo “Manifesto” sicuro che “all’antico isolamento nazionale subentrerà una interdipendenza universale”, su Goethe e la previsione sui “biglietti alati che voleranno tanto in alto” e su Leopardi critico: “Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il Mondo”. Va avanti citando Nietzsche e Shakespeare, la crisi di Weimar e il Manifesto di Ventotene, i progetti di Gates e Zuckerberg (che gli piacciono poco). E sottopone a critica l’ideologia mercatista, le burocrazie Ue, il fanatismo del futuro digitale, le radici da cui nascono populismi e sovranismi. Una lettura stimolante, per discutere di come costruire, su più solide e giuste fondamenta, un futuro comune migliore.
Sono temi che ricorrono, in modo diverso, anche in “Stare in Europa-Sogno, incubo e realtà” di Riccardo Perissich (Bollati Boringhieri, pagg. 222, euro 14). In vista del voto di maggio, vale la pena riflettere criticamente su un “modello comunitario” nato 70 anni fa e oramai inadeguato, ma anche evitare retoriche negative anti-Bruxelles e prendere atto che di fronte a sfide globali (i poteri economici sovranazionali, gli sviluppi della cyber economy, il terrorismo islamico, le grandi ondate migratorie) il nazionalismo asfittico delle “piccole patrie” non consente risposte utili. Serve invece “una maggiore integrazione politica”. Perché “la battaglia per preservare la Ue, e con essa la democrazia liberale in Europa, merita di essere combattuta ed è forse la più grande sfida di questo secolo”.
L’Europa, con le sue regole, è stata a lungo considerata come un necessario “vincolo esterno” per costringere gli italiani “indisciplinati” a essere attenti a buon governo, riforme e conti pubblici in ordine. Ma una certa idea “sacrale” dei parametri di Maastricht e un’inclinazione ideologica dell’”ordoliberismo” dei Paesi del Nord hanno scatenato reazioni che hanno fatto male all’Italia e alla stessa Ue, alimentando sovranismi e populismi. Lo spiega bene Federico Fubini in “Per amor proprio” (Longanesi, pagg. 144, euro 16): “Perché l’Italia deve smettere di odiare l’Europa e di vergognarsi di se stessa”. Le “regole comuni” hanno provocato “effetti diversi” nei vari paesi. Le burocrazie hanno colmato i vuoti lasciati da una politica che ha perso slancio. Agli italiani, affascinati dal neo-nazionalismo, Fubini ricorda i meriti delle nostre imprese, il risparmio virtuoso di milioni di cittadini, il buon funzionamento di alcuni servizi pubblici e privati. E insiste su un’Europa migliore. La scelta da fare è fra l’integrazione europea “e qualche impero più lontano e meno democratico al quale finiremmo per doverci sottomettere in cambio di un po’ di aiuto, senza avere voce in capitolo sul nostro destino”.
Guardiamo, appunto, ai nuovi equilibri internazionali. Come fa bene Danilo Taino in “Scacco all’Europa-La guerra fredda tra Cina e Usa per il nuovo ordine mondiale” (Solferino, pagg. 304, euro 17,50) un libro denso di lucide analisi geopolitiche. Taino sa bene che “ogni ordine mondiale è destinato a crollare: quello eurocentrico è finito da tempo e la Pax Americana che ne ha preso il posto è in declino, sfidata dalla «giovane» potenza cinese”. Le riprove? La guerra commerciale aperta dalla Casa Bianca di Trump nei confronti della Cina e dei principali paesi europei. Ma anche nelle strategie cinesi per la Belt and Road Iniziative, con mille miliardi di investimenti in grandi infrastrutture per legare Pechino con l’Europa e l’Africa.
Tensioni politiche ed economiche. Strategie conflittuali. Che investono “l’Europa malata, in preda a una crisi politica ed economica, e destinata a trasformarsi in terreno di conquista da parte di Pechino e Mosca, se non abbandonerà l’illusione di essere ancora al centro del mondo”. Un’Europa, dunque, da ripensare. —
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