Jole Silvani, Hedy Vessel e tutte le altre. È Trieste la Città delle donne di Fellini
Il regista aveva una predilezione particolare per le attrici giuliane che vedeva come muse e divinità classiche

Jole Silvani con Marcello Mastrioianni
TRIESTE Trieste, Città delle Donne? Tra amiche del varietà, esperte caratteriste, occasioni inseguite, muse ispiratrici e mito cittadino delle “mule”, sono diverse le triestine che Federico Fellini, forse il più grande regista della storia del cinema, ha incluso nei suoi capolavori o con cui ha artisticamente dialogato.
Nell’anno del centenario della nascita di Fellini, con le mostre avviate e che dovrebbero riaprire a Palazzo Reale a Milano e a Cinecittà, rispuntano tutte le triestine che il Maestro di Rimini conosceva bene.

Hedy Vessel
La prima è una star nostrana dell’avanspettacolo, la partner storica di Angelo Cecchelin, Jole Silvani. Fellini le affida il vivace ruolo di una ragazza di vita già ne “Lo sceicco bianco” (1952). Lei è la prostituta alta che, in una scena notturna, forma una strana coppia con l’amica piccoletta Cabiria (Giulietta Masina). La Silvani è una delle interpreti del varietà a cui Fellini attinge per questo suo esordio registico in solitario (un anno prima aveva firmato insieme a Lattuada un film intitolato, non a caso, “Luci del varietà”). Il terreno comune fra Jole e Federico sta proprio nel teatro di rivista. Era stato Aldo Fabrizi, l’amico che aveva introdotto Fellini nel mondo dell’avanspettacolo, a volere la Silvani per primo nel 1951 nel film da lui diretto “La famiglia Passaguai”, dove lei, al fianco di Ave Ninchi, si esprime in dialetto triestino. Fellini così la nota e la chiama nello “Sceicco bianco”. Quasi trent’anni dopo, rivuole la Silvani per un altro personaggio caricaturale ne “La città delle donne” (1980). «Ma come parla questa?», sbotta Mastroianni mentre Jole è sotto la doccia: «Me dago una bela slavazzada – esclama lei – Ah come me piasi l’acqua freda, la me rodola come la bora!». Poco dopo nel film, questa fuochista-motociclista dà un passaggio a Marcello verso la stazione e, nonostante i suoi 70 anni, lungo il percorso si ferma, si spoglia e provoca Marcello.
“Quasi” felliniana sarà invece un’altra attrice leggendaria per Trieste, Fulvia Franco. Un’occasione mancata per lei e per Federico.
Dopo il mezzo fiasco de “Lo sceicco bianco”, Fellini riceve varie offerte che tenderebbero a deviarlo dal cinema d’autore, orientandolo verso una routine commerciale. Fra queste offerte, un produttore gli propone un film con l’ex Miss Italia triestina e il marito Tiberio Mitri. Ma Fellini sente che è giusto riproporsi come autore, e tira fuori l’idea personale dei “Vitelloni”.
Passa un decennio e, diventato ormai un mito con “La dolce vita”, Federico giunge proprio a Trieste nel febbraio 1962 insieme all’amico Tullio Kezich per cercare “la prosperosa Venere rinascimentale” – si leggeva in un’inserzione sul “Piccolo” – per il suo prossimo “8 e 1/2”. Si tratta del ruolo dell’amante, Carla, che Fellini invece affiderà a Sandra Milo. Ma intanto cerca una donna “con l’aria d’altri tempi, garrula, pingue”, diffondendo identikit basati sulle matrone di Rubens o sulla “Venere giacente” di Tiziano.
Ma nel cast di “8 e 1/2” approda ugualmente una triestina, seppure con un identikit del tutto diverso. È la bionda ed elegante, anche lei triestina, Hedy Vessel, al secolo Edoarda Vesselovsky, già ballerina di fila con Wanda Osiris, già presenza aristocratica in una decina di film italiani di genere, dai peplum, agli avventurosi, alle commedie. «Guido, completo di struzzo con colbacco, ti va bene questo?», chiede lei a Mastroianni in uno dei suoi défilé. «Ciao Hedy, ma è bellissimo!».
Siamo nella sequenza onirica dell’harem di “8 e ½”, in cui Mastroianni è circondato e vezzeggiato da tutte le donne della sua vita. Poi Hedy, l’”indossatrice”, va a cambiarsi: «Mi ha promesso che avrò una parte nel film», confida a Rossella Falk, «Mi ha detto che dovrò cambiare tanti vestiti». Grazie anche a questo ruolo, la Vessel dice addio al cinema e diventa singolare protagonista del jet-set, però più hitchockiana che felliniana. Si sposa con il finanziere Camillo Crociani con cui sarà coinvolta nel 1975 nello scandalo Lockheed, ed espatrierà con lui in Messico per sfuggire all’arresto. Scomparso Crociani, diventerà imprenditrice nel Principato di Monaco.
E dopo la Silvani, un’altra nostra grande caratterista approda alla corte di Fellini. Si tratta di Clara Colosimo, nata a Conegliano ma formatasi a Trieste. Una filmografia vasta e vivacissima, la sua, che dalla metà degli anni '70 compie incursioni sempre più frequenti nel cinema d'autore. Con Fellini, in “Prova d'orchestra” (1978) è la buffa arpista che soccombe nel crollo dell'auditorium.
Ma le triestine di Fellini non sono solo attrici, sono anche ispiratrici. Ad esempio la “vampirologa” Ornella Volta, nata a Trieste ma a Parigi dagli anni ’50, conosce Fellini nel 1967 capitando a Roma. Federico, che aveva appena girato “Giulietta degli spiriti”, all’epoca si interessava al fantastico e la vuole incontrare. La Volta collabora così a “I clowns” (1970), lavora sul set, compie ricerche sul circo, cura la versione francese dei dialoghi, lo intervista per la rivista “Positif”. Nel 1990 infine, tre anni prima della sua morte, Fellini lancia il talento di Susanna Tamaro elogiando a sorpresa pubblicamente i racconti di “Per voce sola”. «Ho visto arrivare Pel di carota in motorino, un Lucignolo sorridente, una Gelsomina liberata, una creaturina affascinante, innocente…», disse di lei Federico, descrivendo il loro primo incontro. —
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