La Cappella Underground festeggia mezzo secolo di cinema d’avanguardia
lorenzo michelli
Il 14 dicembre 1968, apre La Cappella Underground (in origine solo La Cappella, Underground lo diventa un anno dopo, nel 1969), il primo centro multimediale a Trieste destinato a diventare un punto fermo nell’offerta culturale e cinematografica a Trieste e non solo. Cinema underground, Basta il progetto, La Cappella Supermartket, Multipli, Computer graphics, Pura Pittura, Fotografia Creativa, Concerto Fluxus. Questi alcuni titoli del calendario dei primi anni di programmazione del neonato Centro di ricerche e sperimentazioni audiovisive; slogan che informano dei tanti polisemici aspetti di una programmazione d’avanguardia aggiornata a quanto si faceva nella penisola. Parallelamente all’estate romana in cui il gallerista Plinio de Marchis ideò il Teatro delle Mostre, trenta giorni di nuove installazioni, in quella veneziana della Biennale contestata, o nei piccoli paesi in cui il gruppo radicale degli Ufo invadeva strade e piazze per interventi nel tessuto sociale, coevi alle tante azioni del gruppo Fluxus che anticipavano molte delle attuali esperienze di arte pubblica e di interventi site specific, a Trieste, un gruppo di giovani, decideva di mettersi in azione nel campo artistico. L’esigenza di capire, di sperimentare e di informare sulle attività della neoavanguardia nelle arti visive come nel cinema, nella progettazione architettonica e nel design, trovò un’adeguata cornice in un ampio spazio, modulabile per le diverse esigenze e ristrutturato per l’occasione.
Così si legge su ”Il Piccolo” del 31 dicembre 1968: “Una nuova galleria d'arte - La Cappella - è stata inaugurata a Trieste in via Franca 17. Nuova in verità, per molti e importanti motivi. È nata senza una tradizione alle spalle (…) è organizzata da giovani, freschi ancora d'entusiasmo; è impostata soprattutto secondo criteri attuali, com'è provato dal sottotitolo della Cappella che si denomina Centro di ricerche e sperimentazioni audiovisive. La cornice ambientale prepara il maturarsi di nuove concezioni estetiche e introduce il visitatore all'apprezzamento di esperienze inedite".
La programmazione si fece subito fitta e le diverse discipline mantennero al contempo una loro autonomia restando fedeli all’assunto di porsi nel campo della ricerca, della novità e della sperimentazione. Il nuovo andava individuato, affrontato. Vissuto. E questo vale per le arti visive, che abbandonavano formati, statuti e consuetudini per gettarsi in azzeramenti e ricomposizioni, negli allestimenti delle mostre che invadevano lo spazio, quasi occupandolo interamente, nel format stesso delle collettive, come ad esempio la Cappella supermartket, in cui era evidente il desiderio di allargare la fruizione dell’arte per renderla consueta nella quotidianità. Il gruppo operava in sincronia e senza alcuna preoccupazione di subalternità con importanti realtà nazionali: dalla galleria il Cavallino, a Marconi, a Filmstudio. Si adoperò per far venire a Trieste critici e progettisti ad illustrare linee e indirizzi della ricerca più aggiornata, da Dorfles a Munari, da Palazzoli, a Vergine a Trini, si trasformò in gruppo operativo per la strutturazione di habitat, per i primi laboratori didattici o per concerti audio/visivi.
Mettersi in azione per recuperare uno stato attivo e non di disagio, come dicono, in un’intervista del ’92 Piero e Annamaria Percavassi, un desiderio di coltivare un certo anticonformismo e calarsi nell’underground che serpeggia al di sotto di ciò che è facilmente ravvisabile, citando Pierpaolo Venier, l’eccezionalità del veder riunite professionalità e personalità diverse ma aggregate dal clima del periodo, sfociarono in questa sorta di laboratorio permanente. Oltre ai sopracitati protagonisti, sono menzionati nel catalogo della mostra Anni Fantastici al Museo Revoltella Luciano Celli, Sergio Ghersinich, Lorenzo Codelli, Mario de Luyk, Bruno Chersicla, Piccolo Sillani, Mariagrazia Celli, Rosanna Obersnel, Paolo Nait, Claudia Velicogna, Vanni Bandiera, Athos Pericin, Cesare Piccotti, Rosella Pisciotta.
La Cappella man mano si orientò sempre più verso il cinema, fu luogo di formazione per chi poi intraprese la strada della critica, divenne luogo di raccolta di un imponente materiale filmico, indicò nuove ipotesi legislative per la valorizzazione dell’arte cinematografica, incoraggiò la filiazione di nuove realtà associative trasformandosi in un esempio di eccezionale longevità nel mondo dell’associazionismo culturale in Italia.
Ma la Cappella del ‘68 è anche un modello a cui guardare per attivare un laboratorio in vista di una nuova rassegna che, oltre a definire le ragioni della sua costituzione, raccogliendo nuove informazioni e notizie, verifichi le trasformazioni accadute in questi cinquant’anni rapportandole ai paradigmi comunicativi che hanno preso forma, alle sperimentazioni e alle nuove realtà che qui a Trieste, per certi aspetti, sono gli eredi di quello spazio d’avanguardia che venne avventurosamente avviato nel dicembre 1968. —
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