La doppia vita del dottor Wasser

di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Vivere significa saper recitare. Interpretare una parte con convinzione. Calarsi sul volto una maschera e immedesimarsi in quel ghigno, nei sorrisi, nella malinconia che traspare dagli occhi. Credere, fino a sfiorare la follia, che il vero io è quello che appare. Quello che noi facciamo credere agli altri di essere.
Per tutta la vita, Lars Gustafsson ha ragionato su questo tema. Costruendo attorno all’essere e all’apparire, lui «filosofo alle prese con il giocattolo della letteratura» (che per vent’anni ha insegnato Storia del pensiero europeo all’Università di Austin, Texas), romanzi sorprendenti e belli come “Il pomeriggio di un piastrellista”, “Morte di un apicultore”, “La vera storia del signor Arenander”, “L’uomo con la bicicletta blu”. Prima di completare il suo percorso terreno, lo scrittore svedese di Vasterás, che ha ricevuto il Premio Nonino 2016 a un paio di mesi dalla morte, ha voluto intraprendere un ultimo viaggio narrativo nei misteri della vita. Un gioiello letterario intitolato “La ricetta del dottor Wasser”.
Tradotto da Carmen Giorgetti Cima e pubblicato da Iperborea (pagg. 155, euro 16), la casa editrice a cui i lettori più attenti alla grande letteratura non finiranno mai di dire grazie, il romanzo ha «l’appassionante serietà» di un gioco, come sottolinea Alessandra Iadicicco nella sua postfazione. E pagina dopo pagina ci consegna un Gustafsson divertito e divertente, profondo e irridente, pensoso eppure leggerissimo. Insomma, uno scrittore in stato di grazia.
Il dottor Wasser può vantare un’onorata carriera. Come medico e dirigente sanitario si è fatto una solida fama curando i disturbi del sonno. Ipnotizzando con le sue parole e le ardite teorie fior di pazienti. Così, nel guardare alle spalle la vita, può affermare con orgoglio: «Io sono un vincente». In tutti i campi, visto che le donne difficilmente gli resistono. E lui stesso si permette di affrontare, e risolvere, i grandi dilemmi della vita come fossero un cruciverba.
Eppure, il dottor Wasser non può barare con se stesso. E allora, riandando alle tappe salienti di una lunga esistenza, deve confessare che il suo vero ispiratore è stato papà. Un uomo capace di cucirsi addosso i panni e la maschera di reduce di guerra. Arricchendo, a ogni racconto, i suoi ricordi con particolari sempre più roboanti. Da lui ha imparato a disinnescare gli eventuali rompiscatole, pronti a sbugiardarlo. Ogni volta che il padre si trovava faccia a faccia con un autentico reduce bellico, infatti, lasciava che fosse lui a completare i buchi della memoria. Limitandosi ad annuire. O, al massimo, ad aggiungere dettagli del tutto credibili.
Così, da ragazzo pieno di talenti incompresi di un paesino del Västmanland, da promettente lavavetri dell’ospedale di Uppsala, un giorno scopre di aver trovato la sua vera strada. Quella della scienza. Tanto che, poco dopo, il Caso gli serve su un piatto d’argento l’«improbabilità» di vivere un’altra vita. Del tutto nuova e decisamente più prestigiosa. Quella di trasformarsi nel dottor Wasser, medico tedesco fuggito dalla Ddr di cui lui riesce a rubare l’identità.
Si tratta di scegliere. In un passaggio del romanzo comicissimo, eppure infettato dal germe della follia, Gustafsson fa dire al suo personaggio: «Che cosa mi vedevo davanti? Un nuovo lavoro come lavavetri? O una nuova officina? Decisi di rifiutare. La tentazione di mollare la mia vita e viverne un’altra era troppo grande. Aver provato una sensazione del genere non lascia senza conseguenze. Si impara la libertà».
Siamo quello che siamo, o quello che crediamo di essere? E se la vita è soltanto una gigantesca rappresentazione del nulla, perché non concedersi una nuova possibilità. Gustafsson non giudica il suo dottor Wasser. Lo spia, lo bracca, ascolta la sua arringa difensiva. Lo scruta da lontano e lo osserva da vicinissimo, come un entomologo che analizza il carapace di un insetto raro. E lascia che compia il suo destino. Come un parente stretto di quel Felix Krull raccontato da Thomas Mann nelle “Confessioni di un cavaliere d’industria”. Il modesto viticoltore della Renania che, grazie alla sua faccia tosta e alla capacità di simulazione, finisce per spacciarsi per un nobilotto parigino. Catturando il favore delle gran dame dei migliori salotti.
Capita, così, che Wasser venga incaricato di smascherare un altro medico: lo psichiatra Ronne Hagen. E che si scateni contro di lui, improbabile smidollato, senza mai provare un attimo di esitazione, anche se quella storia assomiglia tanto alla sua. Ma, a ben guardare, la differenza c’è. Perché Wasser ha imparato la difficile arte dell’imbroglio passando in rassegna i quadri dei grandi pittori nei musei. In fondo, che cos’è che amano più di tutto gli uomini se non la capacità di trasfigurare la realtà?
alemezlo
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