La figlia di Nicola Di Bari recita Pinter

A Udine “Il ritorno a casa”, regia di Peter Stein, premio Ubu all’attrice Arianna Scommegna
Di Roberto Canziani

Un giovanotto inglese che ha avuto fortuna nel mondo accademico statunitense ritorna a casa - la vecchia casa di famiglia, alla periferia settentrionale di Londra - e porta con sé la giovane e piacente moglie americana. Cosa succederà quando il vecchio padre, i fratelli, lo zio si troveranno di fronte alla provocante sconosciuta? “Il ritorno a casa” è uno dei più noti, e anche dei più enigmatici, lavori teatrali di Harold Pinter. Un’esplorazione tagliente delle relazioni e dei conflitti tra una famiglia fatta soltanto di uomini (la vecchia madre di Teddy, il professore “americano”, e dei suoi fratelli, è morta molto tempo prima) e una giovane donna, determinata, indipendente.

“Il ritorno a casa” va in scena stasera a Udine (nella stagione del Css, Teatro Contatto, Palamostre, ore 21) e l’occasione è di gran pregio. Pinter è stato Premio Nobel nel 2005 e continua ancora, dopo la scomparsa del 2008, ad essere un punto di riferimento per la scrittura teatrale contemporanea. Peter Stein è uno dei maestri della regia mondiale: il regista che ha dato una svolta decisiva al clima teatrale di Berlino negli anni ’80, e che da 25 anni ha scelto di abitare in Italia tra le verdi colline umbre. Arianna Scommegna, protagonista femminile, ha vinto con questo ruolo il Premio Ubu 2014 come miglior attrice/perfomer (detto tra parentesi, è anche figlia d’arte: suo padre è il cantautore Nicola Di Bari). Un tris d’assi per una produzione a cui hanno messo mano un teatro stabile (quello toscano, il Metastasio di Prato) e un festival nazionale (quello di Spoleto) arricchita da un cast maschile di rilievo: Paolo Graziosi nel ruolo del vecchio padre e un quartetto d’attori tesi come archi di violino (Alessandro Averone, Andrea Nicolini, Antonio Tintis Elia Schilton).

«Provavamo sei ore al giorno, in campagna: abbiamo mangiato e vissuto assieme per tutta la durata delle prove» racconta Stein, rievocando la fasi che hanno preceduto il debutto dello spettacolo. «È stato come creare in un paradiso terrestre». E spiega com’è nata l’idea: «Tre degli attori che avevano lavorato con me in un precedente spettacolo, “I Demoni”, mi hanno chiesto di fare assieme un Pinter. Loro suggerivano “La collezione”, ma a me quello è sembrato sempre un lavoro ‘minore’. Se dovessi fare un Pinter, ho detto, sarebbe “Il ritorno a casa”. Lo avevo visto alla prima mondiale, nel 1965, all’Aldwich Theatre di Londra, con la regia di Peter Hall. E qualche mese dopo mi sono ritrovato, giovane assistente alla regia, al fianco di Dieter Giesing che lo stava mettendo in scena a Monaco di Baviera. Non avevo nemmeno un contratto in quel momento: ce l’ho avuto più tardi, proprio grazie a quel lavoro». Un testo d’affezione dunque. «Per quella messainscena, eravamo andati a fare sopralluoghi, ricerche, fotografie nei luoghi dove la vicenda era stata immaginata dall’autore. Adesso, 50 anni dopo, di quell’esperienza mi sono avvantaggiato. E mi considero fortunato per essere riuscito a realizzare un progetto che avevo in mente da tempo. Però attenzione: com’è nel mio stile, io non faccio mai la ‘messainscena’: cerco piuttosto di capire il testo in profondità. E ogni volta mi impegno a voler rifare la ‘prima mondiale’ di un testo».

«Lavorandoci sopra attentamente, ho potuto scoprire che nel “Ritorno a casa” si respira Cechov. È la commedia più cecoviana che esista oggi al mondo. Le famose pause, i silenzi di Pinter, sembrano nati proprio là. Ma lo si scopre solo lavorando a lungo con gli attori».

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