La maestra repubblichina di Pansa fede e violenza condite di sesso

la recensioneAll’uscita del “Sangue dei vinti”, nel 2003, aveva affermato, fregandosene dei giudizi che si sarebbe tirato addosso, di andare orgoglioso di essere chiamato revisionista. Anni dopo ha...

la recensione



All’uscita del “Sangue dei vinti”, nel 2003, aveva affermato, fregandosene dei giudizi che si sarebbe tirato addosso, di andare orgoglioso di essere chiamato revisionista. Anni dopo ha fatto di più, ha detto di voler riscrivere la storia della Resistenza. Fedele alla linea, Giampaolo Pansa ha sfornato una serie di libri di successo che non hanno mancato di sollevare polemiche per l’immagine negativa che, secondo i detrattori, ne avrebbe dato. Ora che il polverone è diventato una leggera foschia, visto che intanto, per un concorso di cause che vanno ben oltre l’opera di Pansa, si è scolorita la bandiera del 25 Aprile, giunge in libreria “La repubblichina. Memorie di una ragazza fascista” (Rizzoli, pagg. 240, euro 20,00).

Qui è narrata la vicenda di una ragazza di Casale Monferrato, Teresa Bianchi, nata che il fascismo era da poco al potere e cresciuta con l’idea di fare la maestra elementare e la passione per Mussolini. Tanta è la sua ambizione che al fine di coronare il sogno di salire in cattedra non esita a usare, su suggerimento di una zia, single e disinibita, anche i mezzi che la natura le ha messo a disposizione. Il suo ingresso in una scuola elementare coincide però con i primi rovesci della guerra, che la maestrina dalla penna nera affronta senza alcun dubbio. La sua fede nel fascismo e nel suo capo non tentenna nemmeno quando l’avanzata degli Alleati rende prossima la fine della Repubblica di Salò. Dopo la guerra verrà arrestata per non aver abiurato alla sua fede e subirà la pubblica rasatura dei capelli, uno scotto riservato alle donne colluse con i fascisti. Ricresciuti i capelli, Teresa vivrà i difficili anni della ripresa della normalità e, grazie all’aiuto di un giovane rampante esponente della Democrazia Cristiana, riavrà il suo posto di maestra, continuando peraltro a rimanere convintamente fascista.

Pansa, mischiando con la sua penna di grande raccontatore il vero, il verosimile e il romanzesco, con la storia di Teresa ritrae le donne che vissero il fascismo come l’unica dimensione della loro vita, che nemmeno la scoperta della peggior faccia della dittatura riuscì a scalfire. Di fronte alle deportazioni degli ebrei Teresa dice “ci ho pensato, ma non me ne importa niente”.

Molti altri episodi giungono sulla scena, che Pansa allinea come in un catalogo accomunando le violenze dei soldati marocchini dell’esercito francese che violentano le donne, gli ebrei deportati a Fossoli, il repubblichino che diserta per unirsi ai partigiani e i comunisti che a guerra finita si sbarazzano con le spicce di chi non la pensa come loro. Il tutto, e questa è la novità dell’ottuagenario Pansa, condito con una buona dose di sesso. Omo o etero che sia non importa, i personaggi lo praticano, lo pensano e lo usano per piacere o come arma di scambio o di ricatto, a volte sfiorando il boccaccesco, come il soldato americano che svela a Teresa di nascondere sotto la divisa sottoveste, reggiseno e calze da maliarda. —



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