La storia del signor G. Garibaldi e don Giovanni che attraversa Trieste

la recensione
C’è un grande scrittore inglese che ha a che fare con Trieste. È John Berger, la cui famiglia risale a Moise Maurizio Berger, nato a Trieste nel 1777, che sposò Stella Diamante Galligo il 7 marzo 1800. Lo ha scoperto il fratello Michael, classe 1930, che tiene i contatti con la vasta famiglia dei Berger, ora sparsa per il mondo. Michael conta un diretto collegamento con Fabio Berger, triestino del 1942, che si è trasferito in Inghilterra nel 1965 dove ha un’attività imprenditoriale, e organizza periodiche “family reunions” nel mondo. Quest’anno, molto probabilmente, arriveranno a Trieste.
Ma chi è John Berger, non notissimo in Italia? Nato a Londra nel 1926, è scomparso recentemente a Parigi nel 2017. Figlio di un ufficiale di fanteria che servì in Europa tra il 1914 e il 1918, ha esordito col suo primo romanzo, Ritratto di un pittore, nel 1958, una storia apocrifa, creduta subito veritiera, incentrata sul diario apocrifo di un artista ungherese vittima del comunismo. Sono poi usciti altri romanzi, tra cui citiamo: King: A Street Story, del 1999, sull’esistenza travagliata dei senza tetto raccontata dal punto di vista di un cane, e Festa di nozze, del 2008, che tratta della tragedia dell’Aids. Berger, molto vicino al Partito comunista inglese anche se non militò mai direttamente, è stato anche critico d’arte e saggista (importante una sua monografia su Picasso), studioso della fotografia, sceneggiatore e sociologo.
Tra i suoi romanzi più noti vi è G, scritto nel 1972 (di cui citiamo la bella traduzione di Anna Nadotti per Neri Pozza, del 2012). E G, nella sua seconda parte è ambientato proprio nella Trieste del 1915, nei giorni drammatici dell’entrata in guerra dell’Italia con le devastazioni dei caffè letterari irredentisti (e l’incendio del Piccolo). Il romanzo, che ha vinto il Booker Prize, è un’opera sperimentale con incastri temporali complessi (sempre a mezzo fra narrazione storica e dimensione personale, con una forte componente sessuale). Si potrebbe classificare un bildungsroman, cioè un’opera di formazione, ed ha come protagonista G (iniziali che, come si apprende nel corso della lettura, rimandano sia a Garibaldi che a don Giovanni). G è nato nel 1886 da un ricco commerciante di Livorno. La sua infanzia, date le frequentazioni europee della famiglia, si svolge in Inghilterra, presso dei cugini materni, come conseguenza del disinteresse del padre e della madre (donna bellissima, presa dalle velleità dell’alta borghesia). La sua è la vita di un orfano, seppur immerso in un bozzolo dorato, che frequenta molte città europee (Londra, Parigi, Milano, Trieste) collezionando amori ed esperienze deludenti, sempre alla ricerca di un rapporto col mondo femminile capace di mitigare il trauma dell’abbandono. Così facendo, G — infervoratosi per una forma di proto-socialismo come il Fabianesimo — attraversa i momenti principali della rivoluzione industriale del tardo Ottocento, con tutti i suoi scompensi legati allo sfruttamento della classe operaia, tra nuove tecnologie e difficili evoluzioni delle lotte sociali,
A Milano, per esempio, dove incontra per la prima volta il suo evanescente padre, è casualmente coinvolto nell’occupazione della Caserma di Polizia da parte degli operai della Pirelli (i fatti di maggio 1898) e nella terrificante carica dei soldati a cavallo che aprono il fuoco sui manifestanti, facendo una strage (100 uccisi e 450 feriti). Oppure, al confine fra Italia e Svizzera, è testimone di una grande impresa del tempo: la trasvolata delle Alpi da parte del pilota peruviano Geo Chavez, alla guida del suo Blériot XI, il 23 settembre 1910. A Domodossola, dove si trova in quel particolare momento sempre a causa di una donna, G incrocia gli aneliti futuristi del pilota e ne testimonia la morte durante l’atterraggio di rientro.
In seguito il nostro protagonista, nel suo peregrinare senza meta, inseguendo fra l’altro gli amori di Camille, un’altra donna impossibile che lo trascina sugli scenari sontuosi del Lago Maggiore, giunge, sempre più solo, a Trieste. Il padre è morto nel 1908 e lui ha ereditato il suo commercio import-export, per cui il Porto Franco austriaco gli appare come un’utile base d’affari. Ma ancora una volta, nell’impianto rutilante di Berger, vediamo che G incappa in un altro evento eccezionale: lo scoppio della prima guerra mondiale. Evento che vive dall’interno, venendo in contatto con gli intenti stragisti, in chiave antiaustriaca, di un’ala della comunità slovena che ha le stesse mire nazionalistiche degli italiani. Anche in questo caso c’entra una donna, la slovena Nuša, sorella di un rivoluzionario collegato ad alcuni fuoriusciti serbi dopo l’attentato di Sarajevo, che gli chiede il suo passaporto per far fuggire il fratello Bojan. S’innamora, subito dopo, di un’altra donna inarrivabile, Marika, moglie del funzionario austriaco Wolfgand von Hartmann, che lo rifiuta, e subito dopo vene coinvolto, senza rendersene conto, nella progettazione di un altro attentato.
Il finale del romanzo è assai rocambolesco, dato che, proprio a causa di von Hartmann, G viene scambiato per un agente segreto austriaco da un gruppo di irredentisti italiani e scompare, assurdamente, nelle acque gelide del Molo San Carlo. Questa la conclusione, molto amara, d’una vera commedia degli equivoci, in cui Berger incarna con efficacia proprio il mito negativo di don Giovanni.
Riproduzione riservata © Il Piccolo