La triestina Famulari a Sanremo sul palco dell’Ariston con Tosca

TRIESTE Il palco del Teatro Ariston di Sanremo quest’anno ospiterà una meravigliosa musicista triestina: la violoncellista Giovanna Famulari. L’eclettica artista, che da molti anni risiede a Roma, è anche pianista e ha studiato canto e recitazione. Le piace spaziare tra generi molto diversi: classica, jazz, pop… fino alla world music, coltivata in particolar modo assieme alla cantante romana Tosca. Proprio con lei, la Famulari parteciperà alla serata di giovedì 6 febbraio, quella che il Festival di Amadeus dedica ai duetti.
Ma partiamo dalle origini triestine della protagonista.
Giovanna, come si è avvicinata alla musica?
«A Trieste, la mia straordinaria città, non è difficile avvicinarsi alla musica! C’è il vento, ci sono il mare e la montagna, c’è la natura che è suono e armonia. La mia grande fortuna è stata avere un padre amante della classica, che mi ha fatto conoscere fin da bambina la musica più bella: ricordo le sinfonie di Beethoven ascoltate in macchina, le opere di Mussorgski… e poi, la fortuna di avere un magnifico Conservatorio a due passi da casa, il Tartini, dove mi sono diplomata in pianoforte con quella che è stata l’insegnante della mia vita, Giuliana Poropat…».
E il violoncello, come è entrato nella sua vita?
«Mio padre, essendo un ingegnere e quindi una mente razionale, mi disse: “devi studiare uno strumento che un giorno ti permetterà di lavorare in orchestra”. Optai per il violoncello… ed effettivamente, questo strumento magnifico mi ha permesso di guadagnarmi da vivere».
Come è arrivata a Roma?
«Mi ci ha portato un programma televisivo: Pippo Baudo mi scelse per un format che si chiamava “Gran Premio”, feci la capitana del Friuli Venezia Giulia. Ero molto giovane, avevo 23 anni… poi mi sono innamorata, ho avuto due bambine e mi sono trasferita a Roma».
Si occupa più di musica classica o di musica pop?
«Premetto che per me la radice di ogni cosa è la musica classica, che insegna il gusto, il fraseggio, la bellezza delle regole dell’armonia… partendo da questo, mi sono spinta verso altri generi, in particolare nel pop. Per esempio, ho collaborato con Ron per parecchi anni. Poi, ho conosciuto la grande voce di Tosca…».
Qual è stato il vostro ultimo lavoro?
«“Morabeza”: un disco e un documentario nati da un viaggio in giro per il mondo, che ci ha permesso di conoscere culture molto diverse dalla nostra. Siamo state in Brasile, a Capoverde, in Portogallo, in Algeria, in Tunisia… quindi, tornando alla domanda precedente, posso dire che è vero che esistono vari “generi musicali”, ma alla fine “la musica è musica”. Lo abbiamo capito, ad esempio, suonando con gli algerini, che hanno un linguaggio completamente diverso dal nostro, altre scale, altri fraseggi… ma proprio grazie a questa diversità l’esperienza è stata fantastica».
Per lei è importante mettere l’arte al servizio dell’impegno civile?
«Sempre. Per me è fondamentale dare a quello che faccio un senso che vada oltre la mera esibizione delle mie capacità. Quindi, appena c’è la possibilità, metto l’arte al servizio di una tematica sociale… in quanto donna, mi sono trovata spesso a fare spettacoli in cui si combatte, facendo informazione, la violenza contro le donne. Ma non solo. Mi sta molto a cuore anche la tematica del razzismo: la scelta che abbiamo fatto con Tosca di viaggiare, di incontrare, di accogliere, non è solo un progetto discografico fine a sé stesso. Abbiamo voluto racchiudere in questo lavoro il messaggio della bellezza dell’incontro, così importante in questo periodo storico di separazione, anziché di inclusione e di unione tra esseri umani».
Si è mai sentita aiutata dalla musica?
«Sì, assolutamente. Ho ereditato una malattia degenerativa che si chiama “rene policistico bilaterale” e che mi ha portata all’emodialisi per cinque anni: stavo un giorno sì e uno no in ospedale, quindi ero condannata ad una “mezza vita”. Però, grazie alla musica, sono riuscita a trasformare tutte le energie negative in qualcosa di costruttivo: ad esempio, durante le ore di ricovero ho cercato di ascoltare tutta la musica e leggere tutti i libri che potevo… finché ho ricevuto la chiamata per il trapianto che mi ha restituito la libertà! Un consiglio: quando si vive un disagio, fisico o psicologico, per sopravvivere bisogna investire tutto il dolore in qualcosa che appassiona… per quanto mi riguarda, posso dire: musica, mi hai salvato la vita!». —
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