Le immagini di Folco Quilici portano all’Alinari di Trieste i colori dei Mari dell’uomo

Effettuare i primi esperimenti a vent’anni nella vasca da bagno di casa, con un flash sperimentale da usare sott’acqua. Mettere in pratica la tecnica in Mar Rosso e vedersi le prime foto pubblicate da “Life”. Muoversi tra luoghi sperduti e impervi, dagli atolli in Oceania alle coste d’Africa all’Artico, lontani centinaia di chilometri dai laboratori di stampa, potendo vedere le immagini mesi dopo averle scattate. Lavorare con scorta limitata di pellicola perché quella c’è, e basta, per cui “buona la prima”. Pochi come Folco Quilici danno un senso a termini come pioniere, innovatore, precursore, avendo aperto la strada già agli albori degli anni’50. A un anno esatto dalla scomparsa del grande fotografo e documentarista, la Fondazione Fratelli Alinari gli rende omaggio con “I Mari dell’Uomo”, mostra che s’inaugura oggi alle 17 all’Alinari Image Museum (Bastione Fiorito del Castello di San Giusto) su invito e che domani aprirà al pubblico. Presenti tra gli altri all’inaugurazione il figlio Brando, documentarista e regista, e Italo Zannier che presenterà il catalogo e “Italia Paesaggio Costiero”, libro dedicato al suo maestro da Luca Tamagnini. Quilici in persona ha curato il catalogo insieme a Emanuela Sesti, direttrice scientifica di Alinari.
«La mostra in origine l’avevamo pensata insieme, Folco ed io – spiega Sesti – ma poi lui è mancato. Oltre che un pioniere assoluto, anche una persona di gran cultura e gran fascino con cui si poteva lavorare in armonia nonostante gli sottoponessimo quesiti continui per la quantità sterminata di documentazione. Abbiamo lavorato incessantemente su questo suo archivio enorme e prezioso, da lui donato e conservato da noi in Alinari. Archivio sterminato, di centinaia di migliaia di immagini ».
«Le foto in mostra, una settantina, sono stampe da noi realizzate dalle sue pellicole originali. Sono foto di tutto il mondo, dagli anni’50 al 2008, e il tema è il mare. Si va dalla Groenlandia alla Sicila: c’è la Polinesia, l’America Latina, quindi l’Oceano e il Mediterraneo, e c’è anche tanta Italia. Lui vede il mare sempre e comunque in rapporto con l’uomo: la pesca, il lavoro nei villaggi costieri. Ci sono foto che ha realizzato documentando importanti ritrovamenti archeologici, dal Libano a Riace con i Bronzi appena recuperati nel’73, o relitti di aerei della seconda guerra mondiale, come i caccia statunitensi recuperati nei mari al largo della Sardegna, o di navi della Marina giapponese affondate in Micronesia. E poi foto curiose, come lo squalo che divora una preda realizzata nel’52 dotando la macchina fotografica di speciali scafandrature per effettuare inquadrature ravvicinate; c’è poi il suo celebre scatto del bimbo che gioca con uno squalo nutrice in Polinesia, i riti religiosi sulle spiagge di India e Brasile o la pantomima rituale ripresa nel’73 ad Acitrezza dove si mima la finta uccisione del tonno».
«L’archivio – sottolinea Sesti – è stato riconosciuto dalla Soprintendenza come bene culturale internazionale, risorsa per il pianeta, anche perché certi luoghi si sono trasformati nel tempo. Sono mutate soprattutto le condizioni dei mari, la barriera corallina e i fondali si sono modificati: anche per questo motivo le immagini di Quilici sono uniche e irriproducibili». —
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