Le montagne di Matteo Righetto uno specchio che riflette l’anima

Tea pubblica “Apri gli occhi”, nuovo romanzo dello scrittore padovano
Di Alessandro Mezzena Lona

di Alessandro Mezzena Lona

All’inizio, sembrava un Quentin Tarantino pronto a mollare il cinema per dedicarsi alla scrittura. Uno capace di far impallidire i Cannibali. Gli autori che negli anni ’90 erano riusciti a scuotere almeno un po’ la palude editoriale italiana. Matteo Righetto era riuscito a stupire anche i critici più incontentabili trav olgendoli con i ritmi a rotta di collo del thriller di provincia “Savana Padana”. Per proseguire, due anni dopo, con un polenta-western in salsa criminale intitolato “Bacchiglione Blues”.

Leggendo attentamente quelle pagine, dove la scrittura sembrava uscire dritta da un acceleratore di particelle, si intuiva, comunque, che Matteo Righetto non sarebbe rimasto fossilizzato alla narrativa di genere. E che, prima o poi, lo avremmo ritrovato a misurarsi con storie più complesse. Meno pop, meno accattivanti, sicuramente. Ma assai più vicine a quelle che, da sempre, nutrono la grande letteratura.

Due anni fa, la prima conferma. All’uscita del romanzo “La pelle dell’orso” qualcuno aveva tirato di mezzo Dino Buzzati, qualcun’altro lo aveva paragonato a Mario Rigoni Stern. Perché Righetto, raccontando la sfida epica di un uomo contro uno dei simboli della Natura, al tempo della grande valanga d’acqua del Vajont, dimostrava di essere ormai maturo per affrontare prove narrative assai più complesse di quelle, pur elettrizzanti, che lo avevano accompagnato nel suo debutto letterario. Ma erano paragoni interlocutori, anche quelli. Incapaci di mettere veramente a fuoco l’autore e le storie che andava raccontando.

E adesso, mentre aspettiamo la versione cinematografica che Marco Paolini ha tratto dall’«Orso», Righetto conferma con il suo nuovo romanzo di essere uno scrittore in continua evoluzione. Perché “Apri gli occhi” (pagg. 158, euro 13), che esce domani pubblicato da Tea, abbandona definitivamente le atmosfere da thriller ad alto voltaggio dei primi due romanzi. E corregge la rotta anche del terzo. Accentuando quella ricerca di essenzialità nello stile, di levigatezza e sottrazione nel racconto. Di immersione totale nella penombra del vivere. Per capire che cosa accade delle nostre vite quando le parole perdono la loro forza. Quando i gesti si spogliano del significato.

Padovano, classe 1972, insegnante di Lettere nei licei, Righetto apre gli occhi in questo nuovo romanzo su una coppia come tante. Una Francesca e un Luigi che si incontrano per caso, mentre lei si trasferisce a studiare a Milano dopo il diploma scientifico conseguito a Verona. Li segue mentre si perdono, si ritrovano, provano a inventare una vita fatta di momenti di felicità, di una sintonia totale, del desiderio di spendere ogni minuto stando vicini.

Ma la vita, si sa, si stanca presto di cullare i sogni belli. E non basta Giulio a tenere unita la coppia. Litigi, silenzi pieni di tensione, fughe da casa, rovinano la vita del figlio adolescente. Fino a quando i genitori decidono di andare ognuno per la propria strada. Illudendosi che una montagna di regali lo aiuterà a combattere la malinconia. A sentirsi meno solo.

Uno di quei doni corre ve. loce su due ruote. È una moto da sogno, che si tramuterà in un incubo quando Giulio resterà coinvolto in un incidente apparentemente banale.

Ed è proprio da lì che riparte la storia di “Apri gli occhi”. Perché Matteo Righetto spezza il racconto seguendo due traiettorie. Una segue il dipanarsi delle vite dei personaggi nel groviglio di giornate convulse. L’altra rallenta il passo, indica la strada, scruta il cielo e l’orizzonte. Conduce metro a metro Francesca e Luigi in un percorso che li porterà a riscoprire l’ultimo momento in cui sono stati felici assieme. E allora sì che ritornano in primo piano le montagne. Un paradiso troppo vicino per essere vero. Troppo reale per essere apprezzato con gli occhi bene aperti, il cuore e il cervello in sintonia.

Ed è lì, in uno scenerio tanto bello da ferire l’anima come il Latemar che si specchia nel Lago di Carezza, che il romanzo di Righetto trova il centro di gravità. E lo fa rallentando le parole, centellinando le emozioni. Dimostrando che uno scrittore può partire alla velocità della luce, nel suo percorso narrativo, per poi ritrovarsi a contemplere i silenzi, le ombre. I profili di montagne che assomigliano a specchi, pronti a riflettere il sole e le nuvole dentro di noi. Quella che chiamano anima.

alemezlo

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