Le origini dei miti nel Mediterraneo A Grado le racconta il geologo Tozzi

Domani all’Arena delle Rose sul palco col sassofonista jazz Enzo Favata tra parole, improvvisazioni e musica, anche su strumenti ancestrali sardi
Alex Pessotto



Come geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi non ha bisogno di molte presentazioni. Questa volta, però, non lo si potrà vedere alla tv o al tavolo di una conferenza. Onde Mediterranee l’ha infatti voluto alle 21.30 di domani su un palcoscenico: quello del Parco Arena delle Rose, a Grado. Con lui ci sarà il sassofonista jazz Enzo Favata per dar vita a “Mediterraneo, le radici di un mito”. L’appuntamento avrà l’introduzione del filosofo Fabio Turchini che per la kermesse cura la sezione “Lettere Mediterranee” e che stasera sarà protagonista di una conversazione con Tozzi, prologo della performance.

Tozzi, può anticipare i contenuti dello spettacolo?

«Facciamo un lavoro sulle origini dei miti e su come nel Mediterraneo sono nati: in particolare, riteniamo che siano stati creati con l’analisi degli aspetti fisici della realtà, che gli antichi non potevano spiegare in altra maniera, se non costruendo dei racconti. Insomma, ci occupiamo delle radici fisiche del mito».

Quanto c’è bisogno di conoscere i miti?

«Il mito è la forma più duratura, più persistente di trasmissione della memoria, anche in tempi di memorie tecnologiche e digitali. Quindi, abbiamo miti che vengono raccontati da dieci mila anni e vengono tramandati solo oralmente, mentre non saprei dire quanto durerà il dvd. È tipico, caratteristico di noi sapiens affidarci al racconto orale».

In cosa consiste “Mediterraneo, le radici di un mito”?

«In un’interazione, in un’improvvisazione continua tra parole e musica che dà come risultato finale una composizione secondo noi piuttosto armonica basata sul nostro rapporto, che si sviluppa a braccio: non c’è un copione scritto, anche se la storia che raccontiamo è sempre la stessa. Oltre alle parole, ai racconti, ci saranno allora pezzi musicali, musiche di sottofondo, anche con strumenti recuperati di musica ancestrale sarda, senza trascurare il jazz moderno e pure un po’ di rock».

Quando nasce l’idea dello spettacolo?

«Sono circa una decina d’anni che lo portiamo in giro. In Sardegna, dove è nato nell’ambito di un festival, lo replichiamo spesso, facendo sempre il tutto esaurito e concentrandoci sui miti sardi. Naturalmente, siamo andati anche in altre regioni».

Per lei, divulgatore scientifico, l’attenzione per l’ambiente, in questi tempi recenti, è nel complesso cresciuta?

«Sì, a parole».

A cosa si deve questo interesse crescente?

«Non so quanto sia per davvero un interesse: se lo è, come ho detto, è soltanto a parole, ma non sono sicurissimo che lo sia fino in fondo. Senz’altro, c’è una diversa attenzione mediatica, ma non sono convinto che ciò corrisponda a delle azioni».

Il fenomeno Greta ha contribuito molto in Italia nell’accendere i riflettori sulle tematiche ambientali?

«Nel mondo certamente e parzialmente anche in Italia, soprattutto su coloro che hanno la sua età: non si sarebbero mobilitati così tanti giovani se certi argomenti non fossero stati affrontati da una ragazza».

Quindi, Greta è un fenomeno positivo…

«Secondo me sì».

Trova importante l’esistenza di un Ministero della Transizione Ecologica?

«L’avrei chiamato della Riconversione Ecologica, perché la transizione sembra qualcosa che avviene a prescindere, la riconversione la si deve invece volere. Forse, in questo Ministero sarebbe stato opportuno inserire più scienze naturali, più scienze ambientali: non è solo una questione di tecnologia, di digitalizzazione. Semplicemente, si parla di sostenibilità ambientale, quindi ci vorrebbero persone con competenze in materia. Ma non ne vedo molte».

Riproduzione riservata © Il Piccolo