Lezione di Storia al Verdi: Il falso mito degli accordi di Yalta

Domenica al Verdi nuovo appuntamento della rassegna promossa da Laterza. Del Pero:«La spartizione dell’Europa non fu decisa nella conferenza del ’45»

Paolo Marcolin
Mario Del Pero, docente di Storia internazionale all’università di SciencesPo di Parigi. mentre conduce la lezione di Storia al Teatro Verdi di Trieste. Foto Silvano
Mario Del Pero, docente di Storia internazionale all’università di SciencesPo di Parigi. mentre conduce la lezione di Storia al Teatro Verdi di Trieste. Foto Silvano

La conferenza di Yalta è divenuta il simbolo di un compromesso che avrebbe portato le due nuove grandi potenze -Stati Uniti e Unione Sovietica - a spartirsi l’Europa. Compromesso immorale o realistico, scelto o ineluttabile, a seconda delle tante letture che ne sono state date. Ma cosa rappresentò davvero questo incontro?

La coda per entrare alla Lezione di Storia in piazza Verdi, domenica 21 dicembre. Foto Silvano
La coda per entrare alla Lezione di Storia in piazza Verdi, domenica 21 dicembre. Foto Silvano

Quale fu il suo legame con gli altri importanti summit, che lo avevano preceduto (Teheran) o lo avrebbero seguito (Postdam)? E come si spiegano i tanti miti costruiti attorno all’avvenimento?

Intorno a questi temi si svolgerà l’intervento di Mario Del Pero nella Lezione di Storia di domenica 21 dicembre, alle 11 al Teatro Verdi (ingresso libero fino a esaurimento dei posti).

Il ciclo, ideato dagli editori Laterza ,promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste e il sostegno di Trieste Trasporti, Media partner Il Piccolo, quest’anno è dedicato a Le radici del presente ed è centrato sul Novecento.

A Mario Del Pero, che insegna Storia internazionale all’università di SciencesPo di Parigi, abbiamo rivolto alcune domande.

 

Seduti da sinistra Winston S. Churchill, Franklin D. Roosevelt e Josef Stalin nel febbraio 1945 a Yalta. Foto Ansa
Seduti da sinistra Winston S. Churchill, Franklin D. Roosevelt e Josef Stalin nel febbraio 1945 a Yalta. Foto Ansa

 

 

 

 

Professore, qual è l’errore più comune con cui la storiografia e l’opinione pubblica leggono ancora oggi Yalta?

 

«Gli errori sono tanti. Intorno a Yalta si è costruito un mito. Quello più profondo e duraturo è che a Yalta si sia spartita l’Europa tra Stati uniti e Unione sovietica e si sia lasciata l’Europa orientale al controllo oppressivo e violento sovietico. Non è così. L’errore è pensare che tutto sia stato già deciso nel 1945. Bisogna contestualizzare, collegare l’azione diplomatica che alle operazioni militari. A Yalta si prendono accordi importanti, ma non tracciano linee fisse e definitive».

In che misura Yalta fu davvero un momento divisivo dell’Europa e quanto invece ratificò gli equilibri già maturati sulcampo?

«Yalta è un passaggio in cui si intravede la fine della guerra, ma è un passaggio che non ratifica nulla. L’arma atomica ancora non c’è, c’è un fronte aperto in Asia, ci sono questioni aperte, come quella della sovranità degli stati europei, come la Polonia,liberati dal nazifascismo».

Roosevelt, Churchill e Stalin avevano tre agende diverse: quale dei tre entrò a Yalta con la posizione più solida e perché?

«Il paradosso è che la posizione più netta e chiara era quella di Churchill, che però aveva la posizione più debole. Sono tre attori che entrano con pesi diversi. Gli Usa sono il paese più potente, quello più ricco che esce trasformato, in meglio, dalla guerra. Dall’altra parte c’è una Gran Bretagna prostrata, anche finanziariamente, dalla guerra; anche l’Unione Sovietica è stata devastata dalla guerra,si pensi che il sacrificio umano fu enorme, morirono 25milioni di persone».

Quanto pesò, nelle scelte di Roosevelt,la convinzione di poter “gestire” Stalin attraverso lacooperazione?

«Pesò il convincimento che l’alleanza potesse proseguire. Era un convincimento e un auspicio condiviso, in parte anche da Stalin. Roosevelt pensava in realtà che la trasformazione in senso quasi socialdemocratico degli Usa e il processo diriforme in Urss portasse a un avvicinamento politico e ideale tra i due paesi».

Il mito del tradimento dell’Europa orientale: quanto è fondato e quanto risponde a esigenze politiche del dopoguerra?

«È un mito sbagliato. George Bush nel 2005 aveva fatto un parallelismo tra il patto Ribbentrop Molotov e Yalta.Yalta non chiude nulla, tra il ’45 e il ’48 la situazione è molto più fluida di quanto si pensi. L’auspicio di Yalta non si realizza, ma la storia non è ineluttabile. Da parte statunitense c’era la speranza che l’Europa orientale potesse seguire una autonomia politica interna e una politica estera di sicurezza, uno schema che potremmo dire finlandese».

La conferenza viene spesso letta come l’inizio simbolico della Guerra Fredda. È una forzatura?

 

«Sì, se proprio volessimo segnare una data di inizio della Guerra Fredda potremmo indicare il1947. La situazione precipita con un meccanismo di azione e reazione e quello che la fa precipitare è il piano Marshall».

Quali elementi della conferenza hanno avuto maggior longevità? «La longevità principale ce l’hanno decisioni come quelle sulla Polonia.Il caso polacco ci mostra quanto fosse difficile uscire dall’impasse. Un governo davvero autonomo sovrano e democratico in Polonia non poteva essere un governo non antisovietico e qui si crea una sorta di cortocircuito».

Da un punto di vista di uno storico delle relazioni internazionali, cosa ci insegna Yalta sulla gestione multipolare del mondo di oggi?

«Ci insegna che la politica non termina mai: il dialogo, l’interazione è costante. Ci insegna che la potenza pesa. L’attore che aveva lo sguardo più lucido, Churchill,aveva meno carte in mano, con il declino dell’impero britannico. Yalta ci indica inoltre che il dialogo è facilitato dalla presenza di un obiettivo semplice e condiviso che agisce da cemento, che era la sconfitta di un nemico.La Guerra Fredda è scoppiata perché quel cemento è venuto meno».

Se dovessimo rileggere Yalta con le categorie della politica estera contemporanea quali analogie emergono?

«Da storico sono contrario alle analogie, la storia è un processo di evoluzione  ecambiamentonel tempo».—

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