Livio Seguso e il vetro uno strumento per raccontare di sè

il percorso
«Carne della mia carne: questo per me è il vetro». Così Livio Seguso, scultore e maestro vetraio di fama internazionale, racconta la sua passione per questa materia straordinaria che ancor oggi con immutata dedizione plasma e trasforma in creature fantastiche, in forme straordinarie che popolano da sempre la sua immaginazione.
All’universo mobile di questo artista muranese, conosciuto in tutto il mondo, il Museo del Vetro di Murano ha voluto dedicare una mostra monografica che resterà aperta fino al 12 aprile del 2020. Un omaggio a un grande maestro contemporaneo, che documenta la continua sperimentazione di un artista che nella sua lunga carriera, dopo aver assimilato le “regole” del vetro secondo la millenaria tradizione veneziana, ha voluto intraprendere una strada del tutto nuova, quella del concettualismo scultoreo.
«In questa mostra Livio Seguso – spiega Chiara Squarcina direttrice del Museo del Vetro - ci presenta un suo personale percorso creativo che speriamo possa essere di ispirazione a quanti oggi si impegnano nel mondo dell’arte del vetro, mostrando loro come da un’idea primigenia ci sia la possibilità di procedere spaziando oltre il riconoscibile e oltre la tecnica. Infatti, con Seguso la materia è il mezzo, non il fine. Il vetro diventa così con lui un inesauribile strumento di narrazione intima, ai limiti della surrealtà».
Ecco allora la pietra e il vetro fondersi e rinascere come materia nuova, quasi generatasi da un reciproco respiro. Ecco il legno come stelo piegarsi a sostenere bolle di vetro di insostenibile leggerezza, ecco sfere lenticolari racchiuse tra marmo, ferro e legno rifrangere il mondo in molteplici visioni. Geometrie spaziali o “creature” di altri mondi, le opere di Seguso diventano forme assolute che non ritagliano lo spazio, ma lo posseggono in un perfetto equilibrio tra rigore e stupore.
Nato nel 1930 a Murano, dove ancora oggi vive e lavora, Seguso inizia molto presto il suo rapporto con il vetro, affascinato dall’inesauribile plasticità di questo materiale. Nel 1972 partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, ma la sua maturazione artistica raggiunge l’apice verso la fine decennio con l’abbandono di ogni retaggio della tradizione muranese per dare spazio solo al cristallo puro nella sua trasparenza. Le sue opere diventano così “immagini di luce”, plasmano lo spazio, traducono il pensiero, sfiorano il sogno. Da questo momento in poi il vetro di Seguso “esce” dalla fornace a incontrare altri materiali, quali l’acciaio, la pietra, il marmo, il granito e il legno, diventando così anima duttile di un universo artistico in cui la materia trasparente riesce a trascendere se stessa per diventare scultura.
«Ho sempre cercato – spiega Seguso - di entrare nel vetro, di conoscere tutte le sue qualità intrinseche, sperimentando vari modi di tradurre le sue infinite possibili forme. Attraverso il vetro ho cercato di dare voce ai miei sentimenti. Io sono una persona tranquilla, riflessiva, amo molto la mia famiglia, mi piace l'affetto delle persone. Insomma sono una persona semplice che ha sempre cercato di dare voce alla propria interiorità. Nelle mie opere spero si legga tutto questo. In loro c'è riflessa la mia identità, la mia anima». —
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