Lo dice bene l’ex pilota in pista e nella vita vince chi sa rischiare

Il terzo film di Matteo Rovere, prodotto da Fandango, racconta la poetica dei motori in terra di Romagna
Di Federica Gregori

Sono passati quasi 15 anni da quando l'allora esordiente Daniele Vicari si cimentò nel raccontare il mondo dei motori e delle corse clandestine romane in “Velocità massima”, prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci. Un terreno poco frequentato dal cinema italiano, laddove i titoli del genere sono in gran parte predominio Usa, dalle avventure a tavoletta di Dom Toretto e compagnia in “Fast&Furious” alle rivalità Lauda-Hunt in “Rush”. Oggi, per il suo terzo film, Matteo Rovere torna a guardare a quell'universo aspro e affascinante. Lo fa conscio dei limiti di budget: lanciarsi due ore a perdifiato sui circuiti degli autodromi in un tripudio di rombi e lamiere sarebbe stato inutile, oltre che ridicolo. Ma non è solo questione di soldi. Lo spostamento dell'asse sulla Romagna, terra di motori e di gente che va veloce, gli consente di tratteggiare una storia familiare dal forte sapore localistico, andando a raccontare quel mondo a parte che è la provincia italiana con una vividezza di toni e un gusto da far ricordare il Mazzacurati prima maniera. Un approccio che fa del suo “Veloce come il vento”, produzione ancora targata Fandango, una delle più gradite sorprese della stagione.

Anche la vicenda cui s'ispira ha dei punti di forza non indifferenti: scritta a sei mani, la sceneggiatura nasce da una storia vera, quella dell'ex pilota di rally Carlo Capone, uno che negli anni '80 dettava legge in materia. Ma grandi prestazioni su strada non sempre fan coppia con altrettante stelle nella vita: temperamento complesso, insofferente alle logiche del settore, il campione iniziò a deragliare fino al ricovero in una clinica psichiatrica, in una “rise and fall story” nostrana tristemente autentica.

La famiglia De Martino è a Imola un'istituzione nel campo delle corse automobilistiche. La giovane Giulia ha solo 17 anni ma è già una promessa del Campionato GT, dove sfreccia sotto la supervisione tecnica del padre. Un talento innato che si ritroverà senza guida: impossibilitata, in quanto minorenne, a badare al fratellino, vedrà irrompere nella sua vita sino a quel momento ordinata un tutore piuttosto improbabile. Minato da una tossicodipendenza pesante e prolungata, il fratello maggiore Loris entrerà nelle loro esistenze a gamba tesa, installandosi in casa con la macilenta fidanzata, felice per aver conquistato un tetto mollando finalmente la sgangherata roulotte.

Se è vero però che la passione per i motori brucia nel Dna dei De Martino, il tossico di oggi un tempo era il “Ballerino”, tanta era la capacità di danzare tra le curve nei tracciati più pericolosi. Un talento andato totalmente in fumo. Il pericolo di perdere la casa, causa un patto scellerato stretto dal padre, obbligherà fratello e sorella a lavorare insieme nelle corse, provando a ricostruire faticosamente quel legame spezzato. E se la guida di Giulia comincerà a migliorare, Loris inizierà un percorso di riscatto e redenzione dove l'universo confuso in cui si dibatte si dipanerà, per far riaffiorare quella lucidità che lo aveva reso grande da pilota.

Rispettosi degli stilemi del film di genere, con tanto di training casereccio alla Rocky Balboa, gli sceneggiatori hanno sviluppato una storia di ricongiungimento familiare solida e convincente dando il massimo grazie ad un'incisiva scrittura dei caratteri principali. Il Loris di Stefano Accorsi lascia il segno regalando una delle migliori performance nella carriera dell'attore bolognese: capelli lunghi e radi, sguardo catatonico, dolente, svuotato ma anche cialtrone e con un gusto della vita, è un uomo che perso la bussola ma in cui s'intravedono, a sprazzi, i bagliori del tempo che fu. È lui il portabandiera dell'assunto del film: “se hai tutto sotto controllo significa che non stai andando abbastanza veloce”. Ovvero, il segreto, nella vita, è prendersi dei rischi. Bolognese è anche la giovane esordiente Matilda De Angelis, bravissima, una rivelazione. Appagante sul lato visivo e spettacolare, “Veloce come il vento” fa intelligentemente sua la poetica dei motori della terra di Romagna dal sapore verace e vissuta tra sudore e polvere, raccontando i sogni dei tanti team familiari che la popolano e modulandone i personaggi in una gamma che spazia dagli accenti lievi alla più bieca rapacità.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo