L’occupazione di Economia 50 anni fa la protesta irrompe nel fortino conservatore

Il 5 dicembre 1969 il movimento studentesco occupava il corpo centrale dell’Università di Trieste Quelle giornate rievocate dal libro di Claudio Venza e Simonetta Lorigliola, edito da Irsrec ed Eut 

Il saggio



Gli anniversari hanno non soltanto la funzione di tenere viva una memoria che in Italia si fa sempre più corta, ma anche quella di farci riflettere sui profondi cambiamenti della nostra società. Quarant’anni fa, il 5 dicembre del 1969, il movimento studentesco occupava la facoltà di Economia del corpo centrale dell’Università di Trieste. Il fermento sessantottino che aveva infiammato gli animi, soprattutto dei più giovani, in tutto il mondo, e che a Trieste aveva portato, dal 25 febbraio all’8 marzo, all’occupazione della facoltà di lettere dell’Università, fu tutt’altro che un fuoco di paglia. Tanto che nel ’69 raggiunse anche il corpo centrale dell’Università, spostandosi dalla sede cittadina della facoltà di Lettere, ritenuta covo di “rossi”, all’insospettabile facoltà di Economia, che invece era, nella sua componente docente ma anche in quella studentesca, una facoltà fortemente conservatrice e dominata dalle destre.

La storia di questa occupazione è raccontata, con dovizia di particolari, nel volume “Microfisica di un movimento. Economia occupata. Trieste, dicembre 1969”, edito dall’Istituto regionale per la storia della resistenza e dell'età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (Irsrec) e dalle Edizioni Università di Trieste (Eut). Il volume, in uscita a febbraio 2020 (verrà presentato il 25 al Circolo della Stampa), è scritto a quattro mani dallo storico ed ex docente Claudio Venza, che partecipò attivamente al movimento studentesco, e dalla giornalista Simonetta Lorigliola, con il contributo di Fabiana Martini. Si avvale della prefazione dello storico Marcello Flores e della postfazione di Aldo Colleoni, già presidente dell’Assemblea di economia e poi di quella generale di Ateneo, ed è un approfondito e originale studio sui fatti accaduti in quel periodo, basato su moltissimi documenti storici.

A partire dal Fondo Colleoni, una ricca raccolta di documenti (volantini, verbali di assemblee, libri bianchi, carte rivendicative) conservati da Aldo Colleoni e custoditi oggi nella sede dell’Irsrec. Per proseguire con i documenti istituzionali e altre informazioni dall’Archivio storico dell’Università di Trieste e con una serie di fonti orali, interviste realizzate a studenti e assistenti d’Economia dell’epoca, in modo da combinare e confrontare ricostruzione storica e memorie personali.

Un capitolo è dedicato anche a come la stampa raccontò l’occupazione, con una raccolta di articoli dei giornali d’epoca, tra cui anche il Piccolo. «L’occupazione studentesca della facoltà di Economia fu rilevante per diverse ragioni. Innanzitutto perché segnò un rovesciamento dei rapporti di forza, con il superamento dell’egemonia delle destre che aveva caratterizzato fin dalla nascita l’Università di Trieste, composta inizialmente soltanto dal settore economico - spiega Venza -. Si trattava di un ateneo conservatore, con un assetto profondamente gerarchico e docenti tradizionalmente autoritari, cui si sommava una componente studentesca dominata da un nutrito gruppo di goliardi, che condizionavano la vita degli studenti, soprattutto del primo anno, sottoponendoli a ogni genere di vessazione».

L’occupazione fu una svolta radicale, che cambiò il modo di vivere degli studenti all’interno della facoltà e preparò il terreno per il passo successivo: l’occupazione del corpo centrale di Ateneo nel marzo 1970. Questa svolta fu resa possibile anche dall’ingresso all’Università di molti studenti provenienti dagli Istituti tecnici, cui prima era vietata l’iscrizione a un percorso universitario: così la componente studentesca, prima rigorosamente alto borghese, si allargò alle fasce popolari. Il movimento si caratterizzò per la sua apertura verso il mondo esterno, verso le organizzazioni dei lavoratori, gli studenti delle scuole superiori e la cittadinanza progressista, con cui si voleva instaurare un dialogo. Le rivendicazioni erano le stesse in tutt’Italia: una maggiore liberalizzazione degli insegnamenti e dei piani di studio, una lotta al baronato e allo strapotere dei docenti, un’ulteriore apertura degli studi agli strati sociali meno abbienti. «Non volevamo distruggere l’università, ma fare in modo che funzionasse in modo più democratico ed egalitario», evidenzia Venza.

Che l’impresa sia riuscita è sotto gli occhi di tutti e gli studenti oggi si mobilitano nuovamente per la salvaguardia del nostro pianeta. Ma c’è stata anche qualche imprevedibile deriva: chi avrebbe mai potuto immaginare che un giorno le madri di studenti più che maggiorenni si sarebbero occupate di scambiarsi pareri su lezioni ed esami sui gruppi di Whatsapp? —

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