Luigi e Toni Zuccheri dialogo tra padre e figlio in un inedito confronto

arte
Luigi e Toni Zuccheri, padre e figlio. Due artisti raffinati, accomunati dalla passione per la natura, dall’amore per la propria terra e dalla capacità d’interpretarne l’atmosfera e la storia attraverso le proprie opere. Una mostra, intitolata “Natura e poesia” e allestita alla Galleria Sagittaria di Pordenone fino al 24 febbraio, ne riassume la vicenda artistica attraverso i caldi pastelli, le tecniche miste e le matite di Luigi. Toni predilige invece il vetro e la terza dimensione. Ed ecco i bronzi fusi a cera persa, spesso assemblati ai vetri soffiati e lavorati “a mano volante” per aziende top dell’arte muranese quali per esempio Venini, Barovier e Toso, Seguso. Oppure vetri e gessi modellati e dipinti con inserzioni multimateriche o vetri soffiati senza alcuna commistione con altri materiali, che raccontano nel modo più elegante il fascino della fauna nelle valli e in laguna.
Si avverte invece negli animali - insetti, faine e donnole, caproni, granchi e seppie lagunari, balene, pernici, quaglie, gazze ladre - disegnati e dipinti da Luigi con tratto guizzante d’inclinazione espressionista, un che di feroce e di brado che colpisce e preoccupa, perché suggerisce in qualche modo la potenza e l’ineluttabilità della natura, che l’uomo non riesce a dominare. E in tal senso è coerente in questi lavori su carta la macro dimensione degli animali in rapporto all’essere umano, contadini e popolane che, spesso sovrastati da un incombente cielo grigio scuro, sono rappresentati simbolicamente in scala lillipuziana. A significare con probabilità, in modo sottilmente surreale, che l’uomo subisce l’immanenza della natura, in un’atmosfera di sapore quasi manzoniano. Con spunti stilistici tratti anche da certa raffinata arte veneta e lombarda del settecento e precedente.
Dono di Luigi Zuccheri, il pittore, è poi la luce, che traspare nei guazzi e negli acquerelli veloci, suggerendo un contrappunto drammatico, quasi presago - ma gli artisti spesso lo sono - del problema ecologico.
Più estetizzante è invece l’allure che promana dalle sculture vitree di Toni, il figlio, che dalla visione severa e un po’ cupa del paesaggio del padre, cerca di smarcarsi attraverso una materia luminescente, sobria e ardita, che tratta il soggetto-uccello con elegante e raffinato distacco, raggiungendo dei momenti molto alti come per esempio nel gabbiano corallino e nella folaga creati per Venini, mentre l’unico divertissement che si concede il padre, Luigi, sembra essere la rappresentazione quasi solare e molto dinamica di una festa in paese e una scena danzante tratta dalla tradizione della Commedia dell’arte. E qui finalmente i suoi cieli si rischiarano…
L’accurata rassegna e il ricco catalogo che la correda, ripercorrono intelligentemente il dialogo muto ma eloquente tra padre e figlio, accostando i medesimi soggetti nelle due interpretazioni, bidimensionale e scultorea: un rapporto felice e interessante tra disegno e pittura, espressi attraverso la bidimensionalità del foglio da Luigi, e l’intensa tridimensionalità delle sculture del figlio Toni, animate e silenti nel contempo.
Due artisti, le cui opere - per la maggior parte inedite quelle del padre, ammirate raramente in pubblico quelle del figlio - vantano ambedue notorietà nazionale e sono qui accomunate per la prima volta in un confronto espositivo. Entrambi hanno avuto per altro significativi rapporti con l’estero: Luigi, nato a Gemona nel 1904 e vissuto tra S. Vito al Tagliamento e Venezia, dove morì nel ’74, fu influenzato da un periodo giovanile a Parigi e apprezzato in numerose mostre, tra cui una personale a Trieste nel ’39, in cui fu particolarmente notato da Silvio Benco. Il figlio Toni (S. Vito 1936 - 2008) creò, tra le altre sculture, la Fenice d’oro per la mostra del Cinema di Venezia e la Reggiani Light Gallery a New York, portando alta nel mondo la particolare cultura friulana e veneta. —
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