Marussig, il pittore che incantava i collezionisti

Alessandra Tiddia racconta nella monografia edita da Fondazione CRTrieste l’avventura artistica tra l’Italia e la Mitteleuropa
Di Alessandra Tiddia

Alessandra Tiddia, triestina, storica dell’arte, conservatore del Mart, Museo di arte contemporanea di Rovereto e Trento, una delle studiose più apprezzate in Italia, ha scritto questo articolo per “Il Piccolo” raccontando l’entusiasmante ricerca che l’ha portata a pubblicare la monografia “Piero Marussig” nella Collana d’Arte della Fondazione CRTriete. Il libro viene presentato domani alle 18 al Museo Revoltella, in via Diaz a Trieste, dalla storica dell’arte Nicoletta Colombo alla presenza dell’autrice.

di ALESSANDRA TIDDIA

Marussig ha dipinto in anni di profondi e talvolta radicali cambiamenti sociali e personali: lo scoppio della prima guerra mondiale allontanò per sempre il mondo di ieri dalle vite di chi vi sopravvisse: il nuovo secolo, iniziato una decina d'anni più tardi dello scoccare del 1900, vide il veloce avvicendarsi delle avanguardie sconvolgere i principi compositivi tradizionali e le regole della pittura.

In quegli anni, Trieste, città dove Marussig era nato nel 1879, assisteva al dissolvimento improvviso dell'impero asburgico mentre in Italia intanto si veniva consolidando il concetto di nazione e conseguentemente si andava rafforzando anche l'idea di un'arte nazionale, in grado di raggiungere nel Novecento, l'eccellenza del passato, del Quattrocento e del Cinquecento, che avevano reso famosa l'arte italiana nel mondo.

La vicenda artistica di Marussig, che si svolse in questi anni decisivi, viene divisa da sempre in due stagioni, quella triestina e quella milanese, una corrispondenza non solo biografica ma anche espressiva: nella prima fase egli declina un personalissimo cromatismo mitteleuropeo, talvolta quasi espressionista nelle accensioni del colore, che è protagonista assoluto delle sue raffigurazioni, mentre, come molti altri artisti coevi, guarda a Cézanne; nella seconda fase un nuovo senso del volume, una statica plasticità lo confermano come uno dei numero uno del Novecentismo italiano, quello pensato e organizzato da Margherita Sarfatti.

A sancire la distanza tra loro di queste due fasi, non solo il trasferimento da Trieste a Milano, ma un evento tragico, la prima guerra mondiale, che rappresentò una sorta di spartiacque non solo nell'arte ma anche nella vita di molte persone, stabilendo un ineluttabile prima e un incerto dopo.

Marussig abbandona per sempre l'oasi verde della sua villa Maria in vicolo Scaglioni, incantata scenografia delle sue migliori composizioni, così amata e oggi dimentico rudere.

Fra le motivazioni che lo spinsero a Milano subito dopo la fine della guerra, va valutata l'esigenza di sentirsi parte non solo di un progetto artistico, di un movimento, ma soprattutto di una nazione.

Come per molti artisti suoi concittadini anche per Marussig, il cui cognome rivela già l'attitudine mitteleuropea, la ricerca di un'italianità, di un'identità nazionale assunse un ruolo determinante sia sul piano artistico che biografico. Egli non mutò il suo cognome come ad esempio aveva fatto Vito Timmel italianizzando l'originario Viktor von Thümmel, ma nel 1919 fece una scelta decisiva per sua vita, lasciando Trieste per Milano.

Un'intera generazione di artisti, quella di Marussig, ma anche di Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Cesare Sofianopulo, è stata segnata da una profonda esigenza di italianità, più forte che altrove a causa di un aspetto precipuo di Trieste, il suo cosmopolitismo, il suo essere stata a lungo luogo di frontiera, devota alla propria vocazione mitteleuropea.

Con la Finis Austriae, Trieste scopre nell'italianità, tanto a lungo perseguita e desiderata, il motivo principale della propria identità collettiva. Come ha rilevato Sgarbi, «già colonizzati dalla civile Austria, i triestini colti e meno colti aspirano ora a un "autocolonizzazione" volontaria in direzione dell'Italia», privilegiando invece che la propria molteplicità, la provenienza da un ceppo etnico-culturale finalmente unico.

Se negli anni triestini, grazie al cosmopolitismo culturale di cui si è detto, Marussig connota la sua pittura con uno stile unico, originale, assolutamente personale, successivamente egli declinerà la sua cifra stilistica nel clima di una coralità, quella novecentesca, voluta da Margherita Sarfatti allo scopo di delineare l'eccellenza italica nell'arte.

In virtù di questo valore, strenuamente promosso all'estero dalla stessa Sarfatti, le opere di Marussig, oramai protagonista indiscusso del Novecento Italiano, saranno collezionate e acquisite, lui vivente, da prestigiose istituzioni internazionali, dall'America Latina, alla Russia, dalla Francia alla Scandinavia, così come dalle principali istituzioni museali italiane a Roma, Genova, Milano, Torino, Firenze, Venezia.

Importanti collezionisti e galleristi si assicureranno sue opere: alcune di queste confluiranno poi nelle raccolte pubbliche come nel caso della straordinaria collezione milanese dell'amico Boschi Di Stefano, dove è conservato il numero più rilevante di opere dell'artista.

Fra i nuclei principali ospitati in collezioni pubbliche, oltre a quello del Museo Revoltella, va segnalato accanto a quello del Museo del Novecento di Milano, anche il nutrito gruppo facente parte delle collezioni dl Mart di Rovereto, dove uno dei suoi capolavori, “Autunno”, già esposto nella celebre biennale "novecentesca" del 1924, è oggi visibile nell'esposizione permanente del museo roveretano accanto ad altri suoi olii.

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