Mauro Corona racconta come l’ansia di denaro demolirà anche i monti

Martedì arriva nelle librerie “La via del sole” (Mondadori) una favola triste dello scrittore di Erto sul nostro mondo
Di Francesca Pessotto

di FRANCESCA PESSOTTO

Ancora una favola triste dall'intento educativo e con la volontà di trasferire dei valori, questo "La via del sole" di Mauro Corona, in uscita martedì per Mondadori (pagg. 168, euro 17).

Un pamphlet ecologista sul potere distruttivo dell’avidità degli uomini e su dove si può o si deve arrivare con la tecnologia, che di fatto è più un romanzo breve «a me più caro di tutti - spiega Mauro Corona -, anche se nato per caso osservando il sole tramontare così presto dietro i picchi di alta montagna. Mi sono chiesto quanta più luce ci sarebbe allora senza questi giganti di roccia. La scrittura del nuovo romanzo di prossima uscita, “Nel muro”, che parla di violenza sulle donne partendo dal misterioso ritrovamento di alcune mummie i cui corpi sono stati orrendamente tatuati con un coltello, si è interrotta naturalmente per dare a spazio a questo libercolo di denuncia sul disfacimento morale e sui danni che gli uomini arrecano alla natura, fintamente difesa».

La storia narra di un giovane che, stanco della vita quasi fosse un vecchio, decide di ritirarsi dalla società e riparare in montagna, dedicandosi ad un otium che bandisce tanto le falsità di una vita borghese quanto le sue agevolazioni. Una scelta radicale, che lascia dietro di sé ricchezze, belle auto, amici facoltosi e affetti familiari, per ritrovare il centro dentro l'umiltà e la povertà nuda di un'anima da ricostruire. Per fare spazio a sé si trova ad architettare un'impresa paradossale: demolire le montagne per lasciare che il sole arrivi dappertutto, anche dentro la sua anima così in ombra.

Ma dalla società di origine, come dalla propria educazione e natura, non si scappa e più il sole inonda tutto, più lui diventa un adulto ombroso e tetro, un distruttore piegato dalla convenienza economica e dall'accumulo di denaro. Forte della sete di possesso e della megalomania di un'ambizione costruita a suon di soldi, trasforma la montagna di tutti, patrimonio di Dio prima che dell'Unesco, in proprietà privata, comprandosela e spogliandola pezzo a pezzo ed estendendo la sua brama di conquista e narcisismo fino al mare e da lì su tutta la terra.

Nel costruire il suo delirante sogno diventa un adulto cinico, spietato, corrotto, che incarna tutti i mali di questa società e nel suo cammino materializza i vizi e le nefandezze moderne in occasioni e situazioni. Non mancano personaggi positivi, come la vecchia guida che da bambino gli ha insegnato l'amore per la montagna, dietro cui si cela la voce di Corona, quella di una coscienza civile ed universale che condanna il mondo evoluto a scapito della tradizione, del rispetto e della buona educazione e rifiuta la verità granitica di una montagna ferita che rivendica il suo ruolo di aspra palestra.

I valori gridati, abbaiati come dice Corona stesso, sono immutati: difesa della montagna saccheggiata e abbandonata, speculazione sulla natura e sulle sue creature, totale assenza di rispetto. Ma qui l'eco appare più paternalistica, più demagogica ed elegiaca e quindi meno convincente, nascondendo forse la stanchezza di anni passati a predicare gli stessi valori e che ora sembrano affievolirsi nella mancanza di intensità e nella rassegnazione che ha atterrito profondamente il Corona uomo.

Una malcelata autoironia in alcuni tratti nasconde un certo autocompiacimento, ponendolo personaggio al centro della sua storia, scrittore reietto dallo scaffale di una libreria in favore di grandi prediletti di ogni tempo, chiamati in causa attraverso troppe citazioni.

«Non mi interessa che si leggano i miei libri - dice ancora Corona -, la situazione non cambierà se si continua a scriverne e basta. Bisogna dar vita ad una società di bambini nuovi, educati alla non violenza, al rispetto e ai valori. Talvolta sarebbe meglio toglierli dalle famiglie perché è lì che si annida il male sociale. In questo libro lo dico».

E la critica investe proprio tutti. Chiamando, nel suo stile schietto e dissacrante, i responsabili per nome. «Devono smetterla di raccontarci bugie politicamente corrette; bisogna iniziare a usare i termini giusti a costo di beccarsi denunce. Sono stanco dei predicatori ecologisti e buonisti: Renzi dietro la facciata di difensore dei diritti e protettore della natura, invitava a non andare al voto per fermare le trivelle. Se l'avesse fatto Berlusconi l'avrebbero linciato».

Ma se, come scrive autocitandosi, «in una scultura bisogna togliere per vedere», in questo libro c'è sì l'essenziale che mostra, ma forse troppo esiguo e povero perché faccia abbastanza rumore o desti meraviglia.

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