Milena Vukotic: «Una vita tra Fellini e Fantozzi»

GORIZIA. Forse Milena Vukotic per molti sarà sempre "soltanto" la moglie sottomessa del ragionier Ugo Fantozzi. Per molti altri è uno dei volti noti di "Un medico in famiglia", la serie Tv che la vede tra i protagonisti. Ma è sufficiente leggere qualche sua nota biografica per comprendere che l'attrice è molto e ben altro: ha lavorato con Buñuel, Fellini, Zeffirelli, Strehler, Scola, Monicelli, la Wertmüller, Steno, Lizzani, Bertolucci, Tarkovskij. E l'elenco potrebbe continuare con altri nomi illustri che coronano la sua illustre carriera. Una carriera che continuerà martedì, alle 20.45, al Teatro Verdi di Gorizia per l'appuntamento conclusivo della stagione del teatro. Con Lucia Poli e Marilù Prati, Vukotic sarà impegnata con "Le Sorelle Materassi", tratto dal romanzo di Aldo Palazzeschi proposto nell'adattamento di Ugo Chiti; la regia è di Geppy Gleijeses.
Vogliamo ricordare la vicenda raccontata da Palazzeschi?
«È la storia - risponde Milena Vukotic - di una ex famiglia che si è "ridotta" a tre sorelle e che vede una differenza tra le due più anziane che sono rimaste zitelle mentre la terza, per così dire ribelle, era stata sposata ma è tornata a vivere con loro. Sono tre personaggi che vengono sorpresi da un nipote, Remo, che viene da lontano, nel senso che non è figlio di una di loro, ma da loro è stato come adottato. Soprattutto Carolina, che io interpreto, non ha mai conosciuto la maternità e ne sente molto il bisogno».
Ma in barba alle "Sorelle" e alla sua lunga e fortunata carriera, per molti lei è "soltanto" la moglie del ragionier Fantozzi. Le pesa?
«No, perché ho fatto tante cose nella mia vita, interpretato molti personaggi in generi differenti. Mi sono quindi affezionata a quel ruolo e a chi per quel ruolo mi riconosce».
Come sono ora i suoi rapporti con Paolo Villaggio?
«Siamo amici. Abbiamo fatto nove o dieci film assieme: con lui, ma anche con sua moglie Maura e con sua figlia Elisabetta, un legame particolarmente affettuoso non può non esserci. Anche se, purtroppo, ci sentiamo poco, il nostro rapporto è rimasto».
Sul set c'è mai stata qualche incomprensione?
«C'era un rapporto di complicità, che racchiudeva anche l'amicizia, lo scherzo. Quando si lavora occorre sempre che ci sia una possibilità per capirsi. Non bisogna dimenticare che il nostro, in fondo, è un lavoro duro per cui tutte le volte che siamo stati impegnati assieme c'è stata amicizia e anche grande divertimento».
Oltre alla serie di Fantozzi la sua popolarità è legata a "Un medico in famiglia"...
«Alla base di tutto c'è una differenza. Con Villaggio è stato un lavoro cinematografico. Per quanto riguarda "Un medico in famiglia", sono diciotto anni che lavoriamo assieme: è un lavoro di quotidianità; c'è, quindi, tutto un altro ritmo. È difficile, ad ogni modo, fare un paragone. Con "Fantozzi" siamo in un genere grottesco e quasi surreale; ciò porta a un certo tipo di impegno, di studio. La televisione è molto più, per così dire, concreta. Ma i rapporti devono sempre essere di armonia e di amicizia, altrimenti i risultati non sono buoni. Poi, lo so bene, qualche malumore non può mancare. Ha lavorato con molti artisti illustri».
Volendo, o dovendo, sceglierne uno, chi sceglierebbe? Chi ricorda fra tutti?
«È certo una domanda molto estrema. Ma posso dire di aver cambiato vita dopo aver visto "La strada". Vivevo e lavoravo all'estero, a Parigi. Mi sono trasferita a Roma per potermi avvicinare e conoscere Fellini: sì, è stato lui che ha cambiato il mio vivere l'arte del cinema. E se devo fare un nome faccio il suo; è stato il centro di tutto quanto per me si è sviluppato».
Buñuel e Tarkovskij, come li ricorda?
«Semplicemente come grandi artisti, come grandi poeti che ci hanno comunicato tutta la loro forza. Poi si possono fare tante analisi su cosa rappresentano. Per me è stata una fortuna, è stato un privilegio poterli avvicinare».
E Strehler?
«Ho lavorato anche con lui. È stato il più grande uomo di teatro. In assoluto. Almeno io lo sento così».
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