“Moonlight” vince, ma è l’Oscar della gaffe

L'Oscar 2017 al miglior film va a "La La Land". Anzi no. A "Moonlight". "Moonlight", di Barry Jenkins, è il miglior film secondo l'Academy. A darne l'annuncio, mentre sul palco del Dolby Thaeter di Los Angeles si è già riversata tutta la squadra del superfavorito "La La Land", è uno degli stessi produttori del musical, Jordan Horowitz: «Non è uno scherzo - afferma concitato al microfono - c'è stato un errore, avete vinto voi». Panico. Concitazione. Jimmy Kimmel, conduttore della serata, prova a scherzarci su. Warren Beatty, visibilmente imbarazzato per aver contribuito a creare il malinteso assieme a Faye Dunaway, prova a giustificarsi: «Avevamo la busta sbagliata - afferma - quella che pochi minuti prima aveva decretato la vittoria di Emma Stone come migliore attrice». Ryan Gosling, appena escluso nella categoria Migliore Attore, se la ride. Qualcosa, nella blindatissima procedura della PricewaterhouseCoopers, incaricata di garantire la segretezza dei premi fino all'ultimo, si è inceppato (e la società annuncia un’inchiesta). In pochi secondi tutto cambia. Con ammirevole fair play e senza traccia del minimo rancore, l'ambita statuetta passa di mano in mano per raggiunge finalmente Barry Jenkins, ancora incredulo.
Si è conclusa così, con una colossale gaffe, la cerimonia di premiazione degli Oscar più pasticciata di sempre, nella notte tra domenica e lunedì (fuso orario italiano), a chiosare un verdetto evidentemente orientato a lanciare inequivocabili segnali politici. Il film più premiato è "La La Land", ma delle sue quattordici candidature (come in passato era accaduto solo a "Titanic" e a "Eva contro Eva") solo sei sono andate a segno, promuovendo comunque il trentaduenne Damien Chazelle, miglior regista, come il più giovane ad aver mai vinto un Oscar nella sua categoria.
La lista di riconoscimenti è tutto un proclama anti-Trump e "Moonlight", romanzo di formazione "all black" ambientato nelle periferie urbane della Florida, non è che la punta dell'iceberg. In parte sembra voler risarcire gli afro-americani dall'esclusione, passata per nulla sotto traccia, dagli Oscar #SoWhite del 2016, aprendosi al tempo stesso anche alla comunità Lgbt. Se questo non dovesse bastare, si aggiunga il premio a Viola Davis come migliore attrice non protagonista in "Barriere", di Denzel Washington, e l'Oscar al miglior documentario (che ha scalzato "Fuocoammare" di Gianfranco Rosi) "O.J.: Made in America" e si così otterrà una perfetta edizione #SoBlack in grado di bilanciare le cose, in ottica di "political correctness".
E mentre Jimmy Kemmel continuava a fare battutine, lanciando tweet e frecciatine contro la Casa Bianca, sono partiti altri strali: Migliore film straniero è "Il cliente" di Asghar Farhadi (già premiato nel 2012 per "Una separazione"), regista iraniano che di proposito ha rifiutato un permesso speciale che gli avrebbe permesso di assistere alla cerimonia, solidale con quanti sono rimasti colpiti dal "Muslim Ban". È stata una concittadina a leggere il suo messaggio: «È un grande onore per me ricevere questo prezioso premio per la seconda volta, ringrazio i membri dell'Academy, la troupe, il produttore Amazon e gli altri candidati nella stessa categoria, ma dividere il mondo tra "noi" e "gli altri, genera paure crea una giustificazione ingannevole per l'aggressione e la guerra. Questo impedisce lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità umane e abbattere gli stereotipi e creare quell'empatia che oggi ci serve più che mai».
Incalza l'attore messicano Gael Garcia Bernal, che ha annunciato l'Oscar al miglior film di animazione a "Zootropolis", di per sé un vero e proprio inno alla convivenza e al rispetto del "diverso" dichiarando: «Sono contrario a qualunque muro che divida vite e culture». E non si sono sottratti neppure Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini, gli unici italiani saliti sul podio per l'Oscar al miglior trucco e acconciature realizzate per il blockbuster targato Marvel "Suicide Squad", quando hanno dedicato il riconoscimento «a tutti gli immigrati». A proposito di immigrati, non ce l'ha fatta, invece, il nostro Gianfranco Rosi, nonostante l'endorsement di Meryl Streep e l'attualità dei temi di "Fuocoammare". Ma, come aveva già dichiarato alla vigilia, non vuol sentir parlare di delusione, «essere arrivati nel cuore di Hollywood con immagini e sentimenti legate al dramma dei migranti, è già un grande successo».
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