Napoleone leghista, maschilista e razzista?: «Macché, un uomo dalla sensibilità moderna»
TRIESTE Salvini contro Napoleone. Un inaudito duello si sta profilando sul campo di battaglia del bicentenario della morte del grande Corso. Già, perché l’armata dei detrattori del generale, dopo aver raccolto in giro per il mondo le femministe e i neri, con annesse accuse di misoginia e razzismo, si ingrossa ancora con gli ultimi arrivati, i leghisti. Non gli perdonano di aver conquistato Milano con la forza, di averla devastata, quasi avesse usato una ruspa delle loro. Passato e presente cozzano come gli eserciti a Waterloo, e allora urge chiarirsi le idee. Lo facciamo col professor Luigi Mascilli Migliorini, autore di una biografia di Napoleone che ha avuto ben tre edizioni, e che adesso presiede il comitato per le celebrazioni napoleoniche.
Professore, ci aiuti a capire: perché i leghisti ce l’hanno con Napoleone?
«Perché hanno un fraintendimento profondo sulla loro stessa natura. Mettiamo le cose in chiaro: Milano diventa la capitale morale d’Italia grazie a Napoleone. È per merito dei francesi che diventa la città risorgimentale per eccellenza, che acquista un ruolo importante che prima non aveva. La Lega deve chiarirsi con sé stessa: continua a oscillare tra l’idea di essere il punto trainante di una modernizzazione italiana con una leadership nello spazio nazionale e quella di ambire a essere una macroarea in una Europa tendenzialmente germanica. Sono due progetti che la storia ha dichiarato incompatibili l’uno con l’altro. Se vuoi fare l’italiano devi apprezzare quello che Napoleone è stato per la storia italiana, se vuoi fare il filo asburgico devi accettare che non sei il cuore del sistema, e gli ordini arrivano da fuori».
Parliamo delle riletture violente di tanti personaggi del passato cui abbiamo assistito di recente: le statue di Colombo abbattute in America perché considerato un colonizzatore, adesso Napoleone accusato di essere un razzista.
«Il vizio è attribuire al passato le stesse dimensioni del nostro presente. Dietro il politically correct ci sono forze, come correnti del mondo femminile, del mondo nero, degli indios, che cercano di legittimare se stesse nel presente delegittimando il passato, Adesso dipingono Napoleone come un arrogante macho di inizio Ottocento, quando invece era un uomo di millimetrica incertezza».
Ma lo storico non deve sempre rileggere il passato?
«Sì, ma le domande che ci poniamo devono essere importanti. Se ci interroghiamo sul disegno politico di Napoleone che voleva creare un’egemonia francese sull’Europa, all’interno della quale l’Europa avrebbe trovato una sua unità, per chiederci se quel progetto federativo avrebbe potuto funzionare, poniamo una domanda molto forte, che ha un senso. Ma se Napoleone fosse misogino, se avesse una visione maschilista della vita, è una domanda priva di senso, perché tutti allora pensavano in questa maniera».
Napoleone reintroduce lo schiavismo che la Rivoluzione francese aveva abolito.
«Aristotele diceva che gli schiavi erano animali che si muovevano; se lo dicesse oggi sarebbe orribile, ma non possiamo chiedergli di risolvere la questione per noi, perché non ha rapporti diretti col nostro presente per poterci aiutare. Napoleone reintrodusse la schiavitù dopo la rivolta degli schiavi ad Haiti per rassicurare i proprietari terrieri dell’isola. Avrebbe forse potuto fare un passo più coraggioso, i tempi cominciavano a problematizzare il problema della schiavitù, ma allora si era all’inizio. Anche gli Usa hanno avuto la schiavitù fino al 1870. Insomma, bisogna interrogare il tempo per quello che il tempo può dirci, altrimenti non ha senso».
Qual è oggi la modernità di Napoleone? Lei nella biografia che gli ha dedicato lo paragona a Prometeo.
«Napoleone è apparso come colui che non solo chiudeva la Rivoluzione francese, ma apriva un mondo in cui i soggetti individuali avrebbero dovuto camminare con le proprie gambe. Ecco perché lo sentiamo vicino, era in bilico su tempi diversi, si affacciava su un mondo che è sempre fatalmente disequilibrato. La sua inquietudine è quella dell’uomo contemporaneo che ha ormai l’obbligo di essere al centro delle cose. Napoleone parla molto alle nostre scontentezze».
È stato definito ‘l’homme pressè’, uno che andava sempre di fretta. Ma per andare dove?
«Non lo sapeva nemmeno lui, ma tutto quello che ha fatto lo ha fatto rapidamente, trascinato da una difficoltà che aveva dentro. Aveva amato Rousseau, uno che scava nell’animo umano, che dice che gli uomini sono meravigliosi e orribili; anche Napoleone è stato meraviglioso e orribile al tempo stesso».
Parliamo degli ultimi giorni a Sant’Elena, sconfitto e solo. Lo immaginiamo infelice e tormentato.
«Nel suo ultimo esilio ci sorprende ancora. Lui che ha conquistato mezzo mondo si deve abituare a vivere negli spazi piccoli, addirittura in una sola stanza. E tuttavia la abita, con la memoria, la scrittura, con i ricordi del passato. A un certo punto diventa giardiniere, fa piantare alberi, crea una piccola grotta con una cascatella perché si diverte ad ascoltare l’acqua che gorgoglia, zappetta la terra. Dura poco, perché la salute non lo sorregge più, ma questo Napoleone, che gode delle cose ristrette che la vita alla fine gli ha dato, quanto lo sentiamo contemporaneo!». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo