Nel magico mondo di Libero Laganis, l’osteria più amata dagli studenti “lipparoli”

Oggi in via Risorta si presenta il libro di Francesca Sarocchi sul popolare locale ora gestito dal nipote Samuele

TRIESTE C’erano giorni un po’ così in cui non c’era nessuna voglia di andare a scuola ma bisognava far finta di andarci. C’erano giorni un po’ così in cui bisognava a tutti i costi dribblare un “picone” (leggi brutto voto) nel compito di matematica e c’erano altri giorni un po’ così in cui il desiderio di respirare un po’ d’aria di libertà prevaleva su ogni buona intenzione e su ogni lezione. In quei giorni un po’ così si prendeva l’autobus e si scendeva in piazza Sansovino - subito avvolti dallo smog che usciva delle due gallerie - e si prendeva la strada in salita di via Risorta 7, una sorta di Casa dello studente clandestina dove incontravi ragazzi di altre scuole anche loro un po’ così.

L’osteria da Libero è stato sempre il miglior nascondiglio per gli studenti triestini, un porto sicuro, un posto accogliente, semplice, dove potevi sentirti come a casa, specie nell’ambita saletta interna. In quel posto si poteva restare fino alle 14 (l’orario di fine lezione) a giocare a carte o semplicemente a cazzeggiare o a fantasticare sul mondo che si voleva costruire con il tipico idealismo dei quindici-sedici anni. Sogni ad occhi aperti. C’era anche chi pomiciava ma sono storie, queste, che lasciamo volentieri a Claudio Baglioni. Le più coscienziose, di solito, erano le ragazze che approfittavano di quella clandestinità per mettersi sui libri e recuperare il tempo perduto. Ma non era facile trovare la necessaria concentrazione. Spesso, invece, spuntava fuori una chitarra e via a tuffarsi nel mare nero di Battisti o salire sulla locomotiva di Guccini. Era anche lecito intonare “Il mio canto Libero”, questa volta con la “l” maiuscola in omaggio all’oste. E dopo qualche bicchiere si partiva con le canzoni triestine, goliardicamente rivedute e corrette per rendere ancora più divertenti e scurrili i testi.

Si passava tutta la mattina con un litro di vino allungato con l’aranciata o con il pompelmo in cinque o in sei e anche di più. Libero non batteva ciglio, non ne ha mai fatto una questione per quelle scarse consumazioni. Chi aveva un vecchio “millino” in tasca poteva permettersi un panino di prosciutto o salame con il formaggio o un primo piatto cucinato dalla sapienti mani della signora Nerina, moglie dell’oste e sua complice per tutta la vita.

Libero lasciava sempre fare, gli piaceva stare in mezzo ai giovani, silenzioso ma partecipe. Il casino non lo inquietava. Anzi. Né si lamentavano i clienti del piano di sotto, quelli abbarbicati al banco, assidui frequentatori di un’età media tra i sessanta e gli ottanta, che a furia di quartini di rosso ondeggiavano come barche a vela in balia della Bora già prima di mezzogiorno. Del resto c’era sempre una scusa buona per bere. L’acqua da Libero era prevista solo in caso di incendio. Un accessorio.

A volte si creava una strana osmosi tra giovani “lipparoli” e vecchi capitani di lungo sorso, quei vecchiacci raccontavano storie improbabili per catturare l’attenzione con gli occhi pieni d’invidia nei confronti di chi aveva ancora quella giovinezza che li aveva abbandonati da tempo. Erano come un disco rotto, le loro storie, le loro avventure, erano sempre quelle, ogni volta arricchite di qualche particolare in più. Libero non era attaccato alla lira. I soldi non erano un problema. Faceva l’oste per vocazione. «Dame quel che te gà e se no te gà te me darà ben...», diceva accennando a un sorriso anche se era conscio che quel denaro non lo avrebbe più visto. Era un refrain che ricorreva spesso.

Frammenti di questo piccolo mondo antico di via Risorta che non c’è più (ora c’è un locale molto carino rilevato da suo nipote) riemerge in un libriccino rigorosamente vintage della fortunata collana “Strafanici” inventata ed edita da Bora.la che sta attualmente spopolando con il libro sulla Boba de Borgo. L’esordiente Francesca Sarocchi ha scritto “Libero libera tutti” (56 pagine, 5 euro) con “pupoli” (disegni) di Chiara Gelmini, artista eclettica. È una delle tre cantanti del gruppo Les Babettes. Una pubblicazione (presentazione oggi in via Risorta 7, alle 17.30) sospesa tra il nostalgico passato e il presente. Da anni il nipote Samuele con la moglie Miky hanno trasformato l’osteria in un delizioso ristorantino per cenette romantiche. Sam non ha puntato tutto sulla location, sarebbe stato un grave errore; si mangia e si beve veramente bene e la Sarocchi - che pare sia l’assaggiatrice ufficiale - ne sa qualcosa. Parla con dovizia di particolari di un flan di crema di Montasio, della battuta di Fassona, di una memorabile tartara, del lardo di Pata Negra (“che è come un tubino nero”), dei filetti, e del maialino in crosta. Volutamente trascura i primi.

L’Oste, Libero Laganis, è morto nel 2007 all’età di 80 anni, tuttavia sei anni prima aveva abbandonato il locale per motivi di salute. Nel 1996 aveva visto la morte in faccia quando un balordo lo aveva aspettato fuori dall’osteria e gli aveva inferto cinque coltellate, colpendolo al ventre e alla braccia, per rapinargli l’incasso.

Era “risorto” in via Risorta dopo due mesi riaprendo l’osteria con lo stesso entusiasmo di prima ma con il braccio sinistro malandato che gli impediva di portare più di un bicchiere. Brava la Sarocchi che con ricordi, aneddoti e altre storie ha fatto rivivere un’osteria che ha lasciato tanti orfani. —


 

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