Nella Grande guerra la moda cambiò e “liberò” la donna

di ARIANNA BORIA Una rivoluzione sociale. Un cambiamento da cui le donne non torneranno mai più indietro. Raffaella Sgubin, sovrintendente del Museo della Moda e delle Arti applicate di Gorizia,...
Di Arianna Boria

di ARIANNA BORIA

Una rivoluzione sociale. Un cambiamento da cui le donne non torneranno mai più indietro. Raffaella Sgubin, sovrintendente del Museo della Moda e delle Arti applicate di Gorizia, presenta così la mostra che si apre domani, alle 18, a Borgo Castello (fino al 4 dicembre). “Guerra e moda”, con un sottotitolo che enfatizza il messaggio dell’allestimento: l’alba della donna moderna. La prima guerra mondiale segnò infatti un’epocale e irreversibile trasformazione della figura femminile nella società del primo ’900, di cui l’estetica è la chiave di lettura più immediata e interessante. Le donne, quando ci si rese conto che il conflitto non sarebbe stato breve nè privo di conseguenze, lasciarono focolari e famiglie ed entrarono nelle fabbriche belliche, assunsero su di sè le fatiche dei campi, diventarono autiste di tram e treni, negli ospedali si impiegarono come infermiere e crocerossine. E il loro guardaroba fu investito da uno tsunami: niente più corsetti, gonne lunghissime, strati di biancheria, addio a quella sinuosa linea a S che regalava (e a che prezzo!) un’andatura innaturale, quasi da rettile, seduttiva e pericolosa. Le gonne si accorciano, il busto si scioglie, materiali e colori sono sobri, adatti a chi deve muoversi senza costrizioni, sporcarsi il meno possibile, evitare che pizzi e vezzi rendano più arduo e perfino pericoloso il lavoro di ogni giorno, impigliandosi nelle macchine e negli strumenti di lavoro.

In quattro sale, con un allestimento che intreccia abiti e riviste, biancheria e accessori, la mostra goriziana, realizzata quasi esclusivamente con pezzi dalle collezioni museali, racconta la liberazione estetica della donna, in un percorso cronologico, dal 1900 al 1925, che parte dalla Belle Èpoque e si conclude con la fine del conflitto.

Nel primo spazio tre splendidi abiti viennesi, due dei quali delle sartorie Wilhelm Jungmann und Neffe e G.& E. Spitzer, dove si serviva l’imperatrice Sissi, e due di sartorie triestine, il primo firmato da Olga Voghera Zammatto. I figurini di “Wiener Mode”, “Margherita”, “La donna”, accanto a riviste tedesche e francesi, illustrano l’ultimo scorcio di un mondo in cui l’abito delle classi alte era la cristallizzazione, preziosa e punitiva, di un ruolo e di uno status femminile. Tra le curiosità di questo spazio, un articolo del Piccolo, anno 1911, in cui un cronista registra la prima donna in pantaloni in giro per Trieste, una modella mandata da Vienna per “tastare” le reazioni al nuovo capo, pare guardato con una perplessità tale che la signorina decise di riparare in albergo.

La seconda e la terza sala espositiva ci trasportano negli anni del conflitto: le uniformi di una crocerossina e di una capostazione austriache, un’operaia inglese in tuta kaki e scarponcini, una riproduzione dell’Illustrazione italiana del 1917 con un articolo sull’occupazione femminile durante la guerra, tema trasversale a tutti gli stati belligeranti. Più avanti nel percorso espositivo, un abito da sposa della collezione triestina Verchi e due mise da sera a metà polpaccio, una firmata dall’atelier torinese Paola San Lorenzo: vestiti rarissimi, testimonianza della vita che va avanti per chi di giorno si impegna nei comitati femminili, ma di sera partecipa a cene e balli.

Nell’ultima sala, “le ragazze di Trieste”: un’illustrazione di Umberto Brunelleschi dal giornale di trincea “La Tradotta” fa da sfondo ai manichini con scialli di seta e una borsetta patriottica con tricolore e alabarda, prodotta a Trieste nel 1918.

«Negli anni della Grande guerra - dice Raffaella Sgubin - assistiamo a un drastico cambiamento sociale. Nel ’22 si instaurerà il fascismo, la donna torna in casa, spesso perdendo consapevolezza e quella minima indipendenza economica acquisita. La moda è l’unico settore di “resistenza”, si è voltata per sempre pagina».

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