Nell’eredità di Livio Paladin eguaglianza e giustizia

Nell’aprile di quindici anni fa moriva il grande giusrista triestino Livio Paladin. Professore di diritto costituzionale nell'Università di Trieste e in quella di Padova, nella quale è stato anche preside di facoltà, ministro per gli affari regionali (nel quarto Governo Fanfani) e ministro per il Coordinamento delle politiche comunitarie nel Governo Ciampi, Paladin sarà ricordato oggi in una giornata di studio all’Università di Padova dal titolo “Riforme. Opinioni a confronto”.
Partecipano fra i relatori Rosario Rizzuto, Patrizia Marzaro, Enzo Cheli, il triestino Marcello Clarich, Umberto Veronesi.
Pubblichiamo di seguito un estratto dall’intervento introduttivo di Mario Bertolissi.
di MARIO BERTOLISSI
Il tempo è il miglior giudice. Da tanti punti di vista. Con il suo trascorrere, separa il banale da ciò che non lo è. Consente di stabilire se una persona possedeva davvero qualità o non, piuttosto, superficiali evidenze. Dal punto di vista di chi ricorda, rivela una probabile profondità di sentimenti ed affetti e, con essi, il desiderio di rendere partecipi tanti altri di una memoria che va tramandata. A chi? In particolare, alle generazioni che si stanno affacciando o si sono da poco inoltrate sui sentieri, sempre impervi, della vita.
La persona cui si sta alludendo è Livio Paladin. Costituzionalista insigne e uomo delle istituzioni, fu giudice e presidente della Corte costituzionale, ministro della Repubblica nei governi Fanfani e Ciampi. Ha lasciato questa vita nell'aprile del 2000: quindici anni fa. Le ragioni della memoria sono tante: vale la pena di ricordarne qualcuna.
1. Era un grande, anzi, grandissimo sistematico. Sapeva mettere ordine, secondo una gerarchia di valori, pur appartenendo, scientificamente, alla categoria degli studiosi che attribuivano al diritto positivo - alle leggi scritte - un rilievo essenziale, sempre condizionante l'attività dell'interprete.
Questa opzione, senz'altro coerente con la sua personalità, aveva una precisa ragion d'essere: chi deve giudicare e, comunque, decidere, non può farlo in assenza di vincoli, pena l'arbitrio. Non a caso, è stato il più accreditato studioso del principio costituzionale di eguaglianza.
2. Eguaglianza non solo non è sinonimo di egualitarismo, ma lo contraddice, perché l'eguaglianza vera si coniuga con il pluralismo. Ciò che è plurale esige, per definizione, che sia rispettata, sempre, l'autonomia.
Livio Paladin si può dire sia stato il fondatore del diritto costituzionale regionale (al quale ha dedicato un manuale rimasto insuperato), che ha inteso da par suo: secondo la prospettiva di chi sa salvaguardare, ad un tempo, l'unità e il più ampio decentramento dei poteri locali, che avrebbero dovuto agire secondo l'ottica dell'autogoverno responsabile.
3. Pure lui, al pari di ciò che la scienza costituzionalistica italiana fa, in ossequio a una tradizione risalente, che si innerva nelle dottrine generali di stampo germanico, non ha mai o quasi mai discusso della responsabilità quale manifestazione prima e costitutiva della cittadinanza.
Ma nel suo classico volume di diritto costituzionale - hanno studiato molte generazioni nelle Università d'Italia - in controluce appariva dovunque un altissimo senso delle istituzioni, che induceva il lettore a far suo il messaggio, che diceva quanto indispensabile fosse, per uno Stato di diritto che è ordinamento, la stabilità delle leggi, pensate per durare nel tempo e assicurare discipline coerenti e giuste.
4. Il senso della giustizia ha rappresentato la sua stella polare. Giusto sempre, per vocazione: con gli studenti e con quanti ha dovuto giudicare come componente della Corte costituzionale. Lo ha fatto rispettando l'opinione altrui, senza mai pretendere - come ricorda Leopoldo Elia - che il suo punto di vista dovesse prevalere, ancorché fosse convinto delle proprie ragioni.
Chi si comporta così è davvero super partes: per realizzarsi non ritiene di doversi imporre, pure quando ha il potere di farlo. È il timore di eccedere che frena. È il rispetto per chi ti sta di fronte, chiunque sia, che rasserena. Riteneva impossibile - disse - essere oggettivi. Doveroso spersonalizzarsi, sì!
5. La Giornata di studi in ricordo di Livio Paladin, che si terrà nell'Aula Magna "Galileo Galilei" dell'Università di Padova, oggi, dalle 9 in poi, si aprirà con la proiezione di una sua intervista televisiva, concessa nel 1986 a Giorgio Bocca.
Gli studenti delle medie superiori, gli universitari, gli avvocati, i docenti e i tanti altri che ascolteranno quel dialogo potranno toccare con mano il valore istituzionale di una sequenza di parole, che oggi ci è impedito di pronunciare: eleganza, sobrietà, equilibrio, misura, chiarezza, competenza, autorevolezza, prestigio. Se ne può aggiungere una ulteriore: disinteresse.
6. È quel che hanno creduto di poter dire, il 5 aprile 2000, nel corso dell'ultimo saluto al loro professore, nel cortile antico del Bo, gli studenti: «Grazie, prof. Paladin, grazie perché è stato un Maestro per noi studenti. Con il Suo lavoro ci ha aiutato ad amare il luogo in cui viviamo, ma soprattutto ci ha comunicato la passione per ciò che insegnava, una passione aperta a tutto il mondo, con i suoi problemi e le sue responsabilità.
Lei, professor Paladin, ci ha mostrato che si possono trattare con la stessa serietà gli alti incarichi istituzionali, le lezioni in Facoltà, il ricevimento di uno studente e la preparazione di una tesi di laurea. Ci ha stupito l'umanità con cui incontrava ciascuno di noi, senza ostentare mai una superiorità di conoscenze, di carriera, di prestigio.
A noi, che L'abbiamo conosciuta così, lascia una traccia: un metodo per lo studio e il desiderio di incontrare ancora docenti come Lei».
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