Nessuno voleva il mio “Cuore”

Ritorna il romanzo di Susanna Tamaro che ha venduto oltre 16 milioni di copie

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Le dicevano tutti che era un libro sbagliato. Profetizzavano che “Va’ dove ti porta il cuore” sarebbe sparito dentro un silenzio assordante. Per fortuna, Susanna Tamaro ha tirato dritto. Senza ascoltare nemmeno il suo agente di allora, che le proponeva di far riscrivere il romanzo dalla moglie. Perché così era impubblicabile.

Sono passati 23 anni dal 1994, quando Baldini & Castoldi distribuì “Va’ dove ti porta il cuore” nelle librerie. Nel frattempo, il romanzo ha superato i 16 milioni di copie vendute nel mondo. E nel 2011, il Salone di Torino lo ha inserito fra i 150 «Grandi Libri» che hanno segnato la storia d'Italia, in occasione delle celebrazioni per l'unità nazionale.

Nel frattempo, i diritti del libro sono stati venduti anche negli Emirati Arabi e in Norvegia. E Bompiani propone il “Cuore” di Susanna Tamaro in una nuova edizione (pagg. 185, euro 11), accompagnata da un’ introduzione in cui la scrittrice triestina spiega che il romanzo, accusato da molti critici di avere scelto la via facile verso il successo, in realtà è legato a filo doppio al suo secondo libro, uscito nel 1991 per Marsilio e apprezzato anche da Federico Fellini: «La vecchia ebrea dell’ultimo racconto di “Per voce sola” e la nonna protagonista di “Va’ dove ti porta il cuore” si possono fondere l’una nell’altra».

Oggi, Susanna Tamaro ride della quantità di umiliazioni, recensioni ottuse che ha dovuto incassare per il suo romanzo più amato. Sembra passato un secolo da quando critici influenti la impallinavano allegramente con recensioni impietose. Nei giorni scorsi, al Salone del Libro di Torino, la sua “Tigre e l’acrobata”, il nuovo romanzo pubblicato dalla Nave di Teseo, ha raccolto invece lodi, attenzione.

«Sono convinta che essere donna non mi ha aiutata - dice Susanna Tamaro -. Nonostante il femminismo e tutti i bei proclami, l’Italia fa fatica a digerire il fatto che una donna possa avere successo. Nel 1994, poi, la situazione era ancora peggiore».

Ma “Va’ dove ti porta il cuore” è nato così?

«No, ha avuto una genesi complicata. La prima versione era completamente diversa. Avevo ambientato la storia durante la guerra nell’ex Jugoslavia. Insomma, un ibrido tra “Per voce sola” e “Anima mundi”. Ero arrivata a una settantina di pagine, ma non scorreva».

E allora?

«Ho buttato tutto. Poi, sono rimasta ferma per un paio di mesi. Non sapevo più cosa fare. Quando mi sono resa conto che il personaggio della nonna funzionava, sono ripartita a tutta velocità. Arrivando fino alla fine».

Ci ha messo molto per finirlo?

«Un paio di mesi. Ma io sono fatta così: se una storia mi piace vado direttamente verso la fine senza grandi ripensamenti. Non correggo quasi niente, quando rileggo».

Una concentrazione da sciamano, la sua...

«La capacità di concentrazione che riesco a ottenere quando scrivo impressiona anche me. Quasi mi spaventa. Se incontro delle difficoltà, quelle sono sempre all’inizio del libro nuovo. Ma se le prime 20, 30 pagine sono buone, poi non mi fermo più».

Cosa risponde a chi l’accusa di evere scritto un libro buonista?

«Che non è così. Anzi, è un romanzo crudele, che attraversa le inquietudini e i turbamenti del ’900. È la storia del fallimento di una vita, della sua distruzione e dell’unica possibilità di riscatto: smascherare le menzogne per rendere libere le generazioni a venire».

Hanno tentato di scoraggiarla in tutti i modi?

«Una persona del mondo dell’editoria mi disse: dimentica questo libro, lo pubblicherai quando avrai 80 anni. Un altro editore va in giro a dire che l’ha rifiutato perché chiedevo troppi soldi. Il mio agente volevo farlo riscrivere dalla moglie».

E poi c’era quel critico...

«Mi disse: “Tu non sei uno scrittore. ma soltanto un fenomeno sociale”. Probabilmente aveva scambiato il romanzo per una terapia di gruppo».

Perché ce l’avevano con lei?

«Ero una giovane donne. In più, l’intellighenzia pensava che mi fossi abbassata a scrivere per il pubblico. Per il successo. E poi, non ero nenche allineata con un certo mondo fatto di salotti, gruppi politici, giri letterari».

Per loro era un enigma?

«Venivo da Trieste. Mi vedevano estranea alla cultura italiana, come tutti quelli che arrivano da questo angolo del nostro Paese. È inutile negarlo: quelle cattiverie mi hanno amareggiata, però non mi sono lasciata scoraggiare».

E adesso?

«Vorrei prendermi un anno di riposo. Stare a casa, uscire in bicicletta. Però, se arriva la storia buona...».

alemezlo

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