Palatucci un eroe, oppure no? Gli storici gettano la spugna

Palatucci sì, Palatucci no. Si riaccende il dibattito intorno alla figura di Giuseppe Palatucci, lo "Schindler italiano", com'è stato più volte definito, il funzionario alla Questura di Fiume tra il 1940 e il '44, aderente alla Repubblica di Salò, morto nel 1945 nel campo di concentramento nazista di Dachau, che in Italia è considerato un eroe, medaglia d'oro al valor civile per aver salvato cinquemila ebrei dallo sterminio nazista, e per il quale è in corso una causa di beatificazione (è Servo di Dio dal 2004), mentre a Trieste - come in tante altre città italiane - gli è stata dedicata la via che porta alla Risiera di San Sabba.
Ma la realtà storica sembra essere diversa dalla vulgata, tanto che già nel 2008 lo storico triestino Marco Coslovich,nel suo libro "Giovanni Palatucci una giusta memoria" (Edizioni Mephite), documenti alla mano, aveva sollevato parecchi dubbi sulla verità dei fatti. Arrivando anzi alla conclusione che non c'è alcun solido motivo «per ritenere che Palatucci abbia agito a rischio della vita e abbia agito sistematicamente per salvare o procrastinare la persecuzione antisemita, anche se questo non esclude alcuni gesti di cortesia e disponibilità che possono rientrare nel fare di alcuni poliziotti in un contesto comunque persecutorio e feroce».
Adesso si è arreso anche il Gruppo di ricerca su Fiume-Palatucci 1938-1945, una squadra di sette storici di professione arruolata dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec), su richiesta dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, con il compito di «svolgere nuove approfondite ricerche sulla situazione degli ebrei a Fiume/Rijeka nel periodo 1938-1945 e sull'opera di Giovanni Palatucci, esaminando la documentazione già nota e ricercandone ulteriore, al fine di definire quanto più possibile le vicende storiche in questione».
Compito che la commissione non ha portato a termine, gettando la spugna dopo due anni di lavori e la consultazione di decine di archivi da Fiume a New York, la scoperta di nuove carte e il riesame di documenti già noti. «L’esperienza del gruppo - si legge in un comunicato - si conclude senza la produzione di una Relazione finale». Infatti, «l'intensificarsi del reperimento di nuove testimonianze proprio negli ultimi mesi, ha posto il gruppo nell'impossibilità di svolgere questo indispensabile lavoro di analisi in tempi ragionevoli».
Insomma, non ci sono abbastanza riscontri certi, non solo sul numero degli ebrei salvati - altro che cinquemila, sarebbero stati non più di due o tre gruppi familiari - ma nemmeno sull’esistenza di un “canale fiumano” di salvataggio degli ebrei. Dei quali ebrei 4961 transitarono sì per Fiume verso varie destinazioni internazionali, ma in operazioni già predisposte dal ministero degli Interni.
«Sia chiaro - spiega Michele Sarfatti, storico della Fondazione Cdec e coordinatore del gruppo di ricerca -, il nostro scopo non era dare un giudizio sull’uomo Palatucci: se avesse salvato anche solo un ebreo ha già diritto ad essere inserito nei Giusti tra le nazioni».
«Il nostro scopo - continua Sarfatti - era di trovare riscontri storici, scientifici e documentali sui fatti che lo riguardano tra il 1938 e il 1945. Non ne abbiamo trovati a sufficienza, almeno non nei tempi richiesti. A questo punto il nostro impegno è di perfezionare i filoni di ricerca e renderli noti alla comunità degli storici».
«Ci siamo trovati di fronte - continua Sarfatti - a difficoltà oggettive, casi di omonimia, riscontri sulla presenza o meno a Fiume di Palatucci, e una mole di documenti da esaminare che richiederebbe molto tempo. Finora non ci sono riscontri nemmeno sull’esistenza di un canale di salvataggio clandestino a Fiume a favore degli ebrei».
Anche il famoso articolo di Antonio Luksich Jamini “Il salvataggio degli ebrei a Fiume durante la persecuzione nazifascista”, pubblicato su "Il movimento di liberazione in Italia" nel 1955, fonte prima di tutte le successive elaborazioni a favore di Palatucci, «non ha trovato finora riscontri sulle fonti».
Un documento saltato fuori durante le ricerche, rivela lo storico, è il rapporto di un agente dell’Ozna, la polizia politica di Tito, datato 25 dicembre 1944, in cui si legge: «Palatucci negli ultimi tempi risulta spiccatamente anglofilo e simpatizzante degli ebrei». Un punto a suo favore, ma è ancora poco per reggere la statua che ne è stata fatta in questi anni.
«Di sicuro - nota Sarfatti - Palatucci qualcosa ha fatto sia in aiuto di alcuni ebrei, sia in favore degli inglesi, visto che Kappler lo mandò a Dachau proprio per aver avuto contatti col servizio informazioni nemico; ma il problema vero è che il sistema delle onoranze nei confronti di Palatucci ha preceduto il lavoro di ricerca storica. Gli sono state attribuite azioni che nessuno aveva mai verificato essere state compiute veramente da lui».
E il gruppo di ricerca che avrebbe dovuto colmare questa lacuna non ce l’ha fatta.
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