«Perché ci piace godere delle disgrazie altrui? È un pregio dell’evoluzione»

l’intervista
“Il capo che si definisce “Direttore dei Servizi Pubici” in una lettera importante o “il belloccio dell’ufficio che fa lo splendido sulla sedia girevole e si ribalta”. Ma anche “l’uomo che ha insultato lo staff al check-in dell’aeroporto che si accorge di aver dimenticato il passaporto”. Immaginandovi queste scene non la sentite anche voi questa leggera sensazione di benessere, questa inconfessabile gioia per le disgrazie altrui? È un’emozione che i tedeschi hanno racchiuso in un’unica parola: Shadenfreude (Shaden= danno; Freude=piacere: il piacere del danno). Ma non si pensi che la Shadenfreude sia questione unicamente teutonica: sembra essere emozione diffusa in tutte le culture, di cui si ritrova traccia risalendo nella storia fin da tempi immemori. S’ipotizza che sia addirittura il risultato dell’evoluzione della specie umana, un comportamento adattativo che ci ha aiutato nella lotta per la sopravvivenza. Le numerosissime sfumature della Shadenfreude e la sua presenza nel quotidiano di tutti noi sono state minuziosamente analizzate da Tiffany Watt Smith, autrice dell’”Atlante delle emozioni umane”, nel suo ultimo saggio, che s’intitola proprio “Shadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui” (Utet, 2019, pagg. 193, euro 14). Per scriverlo l’autrice racconta scherzosamente di essersi sorbita con malcelato piacere un sacco di video di “Epic fail” (cadute clamorose) e figuracce di vario tipo. In Italia sul genere ci abbiamo creato più di un programma televisivo, da “Paperissima” a “Mai Dire Banzai”. E anche se non abbiamo una parola per definire la Shadenfreude abbiamo un detto che ne rappresenta una declinazione: “Mal comune mezzo gaudio”.
Secondo molti osservatori siamo nel bel mezzo dell’età della Shadenfreude, anche grazie a Internet.
«È una delle ragioni che mi ha spinto a scrivere questo libro - risponde Tiffany Watt Smith -, perché in realtà è un’emozione che proviamo da millenni, con la sola differenza che oggi, fomentata da Internet, è più visibile che mai. Ma non credo sia ragionevole demonizzare le emozioni: se vogliamo inibire i suoi peggiori eccessi e limitare i suoi effetti dobbiamo capire perché accade e perché ne abbiamo bisogno nelle nostre vite».
Il web amplifica quest’emozione?
«Credo di sì, perché la esprimiamo apertamente più spesso e ciò la “normalizza”, ma soprattutto perché nelle situazioni d’ingiustizia l’avvertiamo molto di più: godiamo nel vedere chi si comporta male ricevere una punizione, e quando siamo online ci confrontiamo con un numero sterminato di ingiustizie. Gli psicologi sostengono che questo piacere crea dipendenza: forse l’era di Internet sta trasformando tutti noi in drogati di giustizia».
Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi della Schadenfreude?
«La Schadenfreude può farci provare colpa e vergogna, ma anche quando accade ci sentiamo comunque bene. Perché è prima di tutto un piacere, e ciò ci ricorda il ruolo importante che ricopre per noi umani. È parte di come affrontiamo l’inferiorità o i nostri fallimenti: vedere che qualcun altro fallisce ci ricorda che non succede solo a noi. Ma la Schadenfreude è importante anche per farci legare l’un l’altro nelle situazioni difficili: a volte siamo noi stessi a invitare gli altri a provarla a nostre spese, per esempio quando iniziamo un nuovo lavoro e raccontiamo un aneddoto su qualche nostro disastro professionale. Vogliamo che la gente rida della nostra sofferenza, così non ci vedrà come una minaccia. Sono moltissime le situazioni e le ragioni per cui proviamo quest’emozione. Nello sport accade quando vediamo la squadra rivale perdere, perfino se non sta giocando contro il nostro team. Ma la Schadenfreude è anche legata alla competitività e all’invidia tra amici, fratelli e colleghi.
Perché è così piacevole anche se dobbiamo nasconderla?
Ci sono studi che suggeriscono che sia un’emozione “funzionale”, che ci ha aiutato a sopravvivere come specie umana. È importante vedere i trasgressori puniti, perché ci aiuta a mantenere sicure le nostre società. I neuroscienziati hanno dimostrato che questo piacere stimola i centri cerebrali della ricompensa, lo striato dorsale, e che iniziamo a provarlo fin da piccoli. Uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno e condotto a Lipsia ha scoperto che i bambini di 6 anni erano disposti a pagare in dolci per vedere picchiati i pupazzi cattivi, ma erano allarmati quando i bravi burattini venivano trattati allo stesso modo».
Come conviene comportarsi quando capiamo di essere vittime della Schadenfreude altrui?
«Una volta un collega anziano si lasciò sfuggire un accenno di sorriso quando gli dissi che non ero riuscita a ottenere una borsa di studio per la quale avevo fatto richiesta. Rimasi sorpresa da questo comportamento, ma poi capii che doveva sentirsi un po’minacciato da me. Perciò l’ho letto quasi come uno strano tipo di adulazione. Ma non lo farei mai notare, perché se le persone provano Schadenfruede è perché si sentono inferiori o invidiose: emozioni orribili da sperimentare e difficili da ammettere. Quindi se cogli in qualcuno un piccolo bagliore di Schadenfreude a tue spese è meglio ignorarlo educatamente!». —
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