Quando la pubblicità portò “Via col Vento” a un milione di copie

la recensione
Se già nell’antica Roma si appendevano avvisi alle porte delle tabernae librariae con l’elenco dei libri disponibili, Peter Schoffer, socio di Gutemberg, fu il primo a produrre materiali pubblicitari stampati per sostenere la vendita della bibbia. L’editoria è un’impresa costosa, tant’è vero che l’Encyclopedie venne preannunciata da un Prospectus che serviva a raccogliere le sottoscrizioni necessarie per poterla stampare. L’idea fu di Diderot e colse nel segno: le ottocento sottoscrizioni permisero di far uscire il primo volume dell’Encyclopedie, che vendette 1002 copie, un risultato clamoroso per l’epoca, come si legge ne “La claque del libro” (Neri Pozza, 187 pagg. , 14, 59 euro), nel quale Ambrogio Borsani compie un excursus nella storia della pubblicità del libro. Borsani, accanto a storie di grandi campagne pubblicitarie, non trascura il mistero di quei libri hanno avuto successo senza nessuna azione di marketing. È il caso di “Pinocchio”e della “Capanna dello zio Tom”, due libri di grande tiratura dell’Ottocento, secolo nel quale gli editori investivano peraltro molto sul prodotto libro e il manifesto divenne il media più spettacolare. Una campagna di affissioni lanciò “Le diable a Paris”, un volume che raccoglieva scritti di Balzac, Stendhal, Gautier e altri tra gli autori più in voga del tempo. In Italia Fortunato Depero, che disegnava lapidi funebri prima di essere folgorato sulla strada del futurismo, disegnò copertine di libri e riviste e immagini pubblicitarie per prodotti editoriali, oltre a creare cataloghi come il famoso Imbullonato, il libro rilegato con due bulloni, per pubblicizzare la sua casa d’arte.
Un successo invece completamente pianificato fu Fantomas. L’immagine dell’inafferrabile criminale era disegnata da Gino Starace e ispirata alla pubblicità delle pillole Pink. Sostenuto da una serrata campagna pubblicitaria ideata nelle stanze dell’editore Fayard, il primo libro, uscito nel 1911, raggiunse le 100 mila copie. Nel Novecento si cominciò a capire che il libro poteva trainare un’operazione commerciale molto vasta. Il caso più impressionante fu “Via col vento”. Lanciato da un’imponente campagna pubblicitaria, il libro vendette un milione di copie in pochi mesi e dopo l’uscita del film omonimo il merchandising inondò il mercato di bambole, tazze, piatti, dipinti, cornici e altri gadget.
Con un procedimento inverso, a volte la pubblicità si servì degli scrittori. Mario Soldati fece da testimonial per Facis e il Marsala Florio, la birra Ballantine arruolò Hemingway e Steinbeck. Ma il colpo più straordinario per la caratura dell’involontario testimonial, che non era propriamente uno scrittore nonostante avesse redatto la Rerum Novarum, fu quello del Vin Mariani, un tonico a base di cocaina. Il papa Leone XIII lo apprezzò al punto da mandare al suo inventore, il chimico e farmacista Angelo Mariani, uno scritto elogiativo che venne esibito negli annunci pubblicitari diffusi nei paesi anglosassoni.
Tra gli scrittori che si prestarono a fare pubblicità ci fu anche Fernando Pessoa. Richiesto di uno slogan per la Coca-Cola, si inventò un “prima ti tira fuori e poi ti entra dentro” che mise in allerta qualche ignorante censore del Portogallo di Salazar, convinto che la cocaina fosse ancora una componente della bibita, che ne decretò il bando fino alla Rivoluzione dei garofani.
Chi invece meglio di D’Annunzio, furbo e modernissimo, poteva intuire che per vendere libri si doveva scandalizzare? Il futuro Vate mandò addirittura ai giornali l’annuncio della sua morte e poi arrivò al punto di farsi fotografare nudo in spiaggia. Il povero Aldo Busi invece si lamentò perché il suo “Altri abusi” non venne processato per oscenità, a dimostrazione che non si fa più scandalo con un libro.
Se il libro, assediato da grande distribuzione, social e vendite on line è oggi in crisi, conclude Borsani, non può essere la pubblicità a salvarlo; bisogna ripartire dall’inizio, tornando al piacere di leggere. —
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