Quando l’aspirante insegnante pasticcia con la lingua italiana

TRIESTE Torno a scrivere dei concorsi per l'assunzione dei professori. Era stato tempestivo Andrea Sansò, professore di Linguistica all'università dell'Insubria, quando a maggio aveva scritto una lettera aperta alla ministra dell'Istruzione Stefania Giannini, sfidandola a sostenere in due ore e mezza una prova scritta costituita da sei domande di questo tipo (si tratta della riproposizione, su temi di interesse scientifico della ministra, del tenore delle domande al concorsone per i docenti delle scuole): «Il candidato indichi quali prerequisiti ritiene essenziali e quali materiali didattici utilizzerebbe per illustrare a una classe di Lingue straniere del primo anno il concetto di "move alpha" nell'ambito della Revised Extended Standard Theory».
Al di là della esotericità degli argomenti, la provocazione di Sansò mirava a criticare il modo in cui sono state impostate le prove del concorso. La ministra non ha risposto, perché non avrebbe potuto far altro che dar ragione al suo interlocutore.
È evidente l'inadeguatezza delle domande rispetto al tempo a disposizione. Ma poi, per la prova, da scrivere al computer, era stato fornito un programma assolutamente inadatto alla stesura di testi elaborati (per esempio non consentiva il taglia e incolla, indispensabile se si vuole modificare la strutturazione del testo prodotto fino a un certo punto) ed era stato posto il divieto, assurdo, di usare carta e penna, un mezzo antico, ma ancora pienamente efficace per pianificare bene un testo e, soprattutto, soluzione di riserva essenziale visti i limiti del programma informatico. Conclusioni di Andrea Sansò: «Una prova concorsuale che non testa nulla, se non la velocità di digitazione sulla tastiera. Temo che con questo concorso selezionerete dei bravi dattilografi imbevuti di vuota fuffa pedagogico-didattica».
Ora, fa notizia l'alta percentuale di non ammessi all'orale in questo concorso, che vedrà un numero di vincitori inferiore non solo al numero dei concorrenti, il che è ovvio, ma anche nettamente inferiore al numero dei posti disponibili. Tra i "bocciati" un gran numero di candidati che erano stati formati in corsi ad hoc tenuti dalle Università, in base a un progetto predisposto da quello stesso ministero che ha elaborato questa demenziale prova di concorso. Ai corsi era stato ammesso un numero ristretto di partecipanti, che avevano superato una prova fortemente selettiva.
Evidentemente qualcosa non ha funzionato. Non metto in dubbio che tra i candidati ammessi all'orale, oltre a bravi dattilografi imbevuti di fuffa pedagogica, ci siano anche persone capaci, che sono riuscite a portare a termine correttamente la prova nonostante la sua inadeguatezza. Insomma, dei geni. Però non è così che si seleziona chi dovrà educare i nostri ragazzi nei prossimi decenni: servono principalmente bravi insegnanti normali.
Ha fatto scalpore un dossier di "Tuttoscuola", ripreso sul "Corriere della Sera" da Gian Antonio Stella, che documenta l'alta percentuale di non ammessi, le disparità geografiche (il Friuli Venezia Giulia risulta la regione con la percentuale più bassa di "bocciati"), ma anche gli orrori presenti nei compiti. Ci dice Stella che ci sono candidati che, ignari che ogni situazione comunicativa ha le sue regole, hanno scritto "cmq" per "comunque", "ke" per "che", "x" al posto di "per". C'è chi confonde il "peer tutoring", in cui uno studente più preparato segue e aiuta un altro studente più debole, o più giovane, con il "peer touring", che implica il contatto tra studenti o gruppi di studenti di aree o ambienti diversi. E poi, via con altri errori madornali (alcuni, però, devono provenire da altri concorsi: Stella parla dell'incapacità di indovinare la capitale della Svezia, tra Parigi, Stoccolma, Bogotà, Madrid; si tratta, quindi, di una domanda "a quiz", ma il concorso non prevedeva domande a risposta multipla).
Il problema, tuttavia, non è il bestiario che si può facilmente costruire, prendendo le risposte più incredibili scritte dai candidati peggiori (lo si è fatto con gli aspiranti magistrati, lo si potrebbe fare, ne sono certo, con i giornalisti, o con qualsiasi altra selezione che preveda una prova di scrittura).
Ma quanti sono davvero i deprivati linguistici che hanno fatto errori madornali di ortografia, lessico o sintassi? Molto pochi, credo, anche se magari molto creativi nei loro sbagli. Il problema vero è: com'è possibile che candidati che pochi mesi fa hanno superato selezioni molto rigorose, al termine delle quali hanno ottenuto l'abilitazione all'insegnamento, all'improvviso siano diventati dei somari conclamati, al punto da non poter essere nemmeno all'altezza di sostenere la prova orale?
La ministra Giannini ha trovato subito una risposta: "siccome era un concorso per abilitati, dobbiamo porci il problema del modo in cui facciamo le abilitazioni". Certamente, è un punto di vista che va preso in considerazione; e a concorso ancora in via di svolgimento il ministro in carica non può certo dire che alle prove escogitate dal suo ministero si addice il noto e lapidario giudizio di Paolo Villaggio su un film cult, dal titolo mimetizzato (per chi non se lo ricordasse, il giudizio è "per me "La corazzata Kotiomkin" è una cagata pazzesca").
Però, se io fossi ministro, a bocce ferme, prenderei in serissima considerazione le sacrosante critiche di Andrea Sansò, e di molti altri, sulle caratteristiche delle prove. Penso che, a maggior ragione, dovrebbe farlo la ministra Stefania Giannini, per due ragioni: da una parte perché, come linguista, dovrebbe conoscere bene i processi che portano a una buona scrittura e dovrebbe capire in un nanosecondo che sono del tutto incompatibili con i meccanismi, i vincoli, i tempi stabiliti dai suoi funzionari per questa prova scritta; dall'altra perché ha annunciato che entro la fine dell'anno uscirà il bando per un nuovo concorso.
Riproporre le stesse regole elaborate per questo concorso, sulle quali pende il fondato sospetto di aver condotto a un sonoro fallimento, sarebbe davvero diabolico.
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