Quanta vita nella biblioteca di New York

Oggi all’Ariston il documentario “Ex libris” di Frederik Wiseman nella Giornata mondiale del libro

Il centralino dispensa consigli su antiche armature, alberi genealogici e unicorni anche se gli addetti sono irremovibili: spiace davvero, ma la Bibbia di Gutenberg non è proprio disponibile. “Libri a Mezzogiorno” schiera un crocicchio di ascoltatori in piedi che, prima di pranzo, s'intrattiene con poesie che evocano tensioni razziali, poco più in là un oratore non si scompone esponendo la sua dotta dissertazione davanti a una signora che sferruzza senza posa. E mentre un club di appassionati dibatte se “L'amore ai tempi del colera” di Marquez contenga «troppe storie di letto» e Elvis Costello racconta la sua canzone al vetriolo anti-Thatcher “Trump the Dirt Town”, dei bambini imparano con qualche trucchetto la matematica, dei non vedenti il Braille e studenti d'arte consultano archivi cercando immagini di re, regine o esplosioni atomiche per il loro prossimo spettacolo teatrale. È un mondo composito, vivido e ricchissimo, che pulsa di vita e di sete di conoscenza, quello raccontato in “Ex Libris”, documentario appassionante e potente di Frederik Wiseman che proietta lo spettatore nelle mille dinamiche che si liberano ogni giorno in un tempio della conoscenza mondiale come la Biblioteca Pubblica di New York.

Una dichiarazione d'amore in immagini la cui uscita in sala, a Trieste al Cinema Ariston, non poteva intercettare data migliore come quella odierna, 23 aprile, Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore patrocinata dall'Unesco per promuovere la lettura e la pubblicazione dei libri. Con lucidità, “Ex Libris” registra innanzitutto il grande mutamento dell'istituzione bibliotecaria del nostro tempo, interpretata non più come un deposito di volumi magnifico ma inerte bensì un luogo vivo che sì diffonde conoscenza ma soprattutto offre sempre più servizi e opportunità ai cittadini. E se con le tre ore e 17' di un'opera che racconta una biblioteca, il timore è di trovarsi di fronte qualcosa di didascalico e austero, troppo dotto o monocorde, non c’è niente di più sbagliato. L'88enne regista di Boston compone le tessere di uno dei suoi mosaici più compositi – da sempre indaga istituzioni pubbliche e private del suo Paese, toccando tribunali e ospedali ma anche monasteri, mattatoi, grandi magazzini e stazioni sciistiche – immergendo in stimolanti microstorie che catturano per la loro vivacità, lo spirito di condivisione e l'emblematicità rappresentativa degli incredibili cambiamenti sociali che sta vivendo il nostro tempo, attraverso cui filtra una visione dell'America molto diversa e, al momento, pericolosamente messa in ombra da quella rappresentata dal governo Trump.

A iniziare dalla topografia: Wiseman non si muove solo tra le imponenti scalinate marmoree e le preziose sale del monumentale edificio di Fifth Avenue, ma in una miriade di succursali anche nelle zone più periferiche, divenute vere e proprie comunità dove ceti più poveri e immigrati trovano assistenza, formazione o semplicemente riparo. Uno degli aspetti più potenti e diretti del documentario è proprio il pubblico, immortalato in figure e volti tra i più diversi che potremmo immaginare: gente che consulta reclami, studia casi sanitari, legge quotidiani di fine '800, guarda mappe, impara, gioca. L'assunto è che «la biblioteca è la più democratica delle istituzioni. Tutti sono i benvenuti e tutte le razze, etnie e classi sociali sono partecipanti attivi nella sua vita», sostiene Wiseman. E le sue non sono solo parole tratte da un libro.

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