Rhapsody of fire, metal mondiale firmato Trieste

TRIESTE. Riempiono i palasport dall’Europa a Tokyo, da New York al Cile. Movimentano masse che, è la globalizzazione, del loro rock epico conoscono ogni sfumatura, ogni parola, rigorosamente in inglese, ogni nota. Hanno venduto almeno un milione di dischi a livello mondiale. E sono triestini. Molto triestini. Anzi, sempre di più.
Il progetto Rhapsody ha vissuto momenti piuttosto movimentati. Da quel 1993 in cui si chiamavano ancora Thundercross, sembra siano stati colpiti da uno tsunami. Un organico che sembra una di quelle porte girevoli, dove tutti entrano e molti escono, con almeno due certezze, iniziali: i leader Luca Turilli e Alex Staropoli, entrambi “patocchi”. Ma dapprima è insorta un’assurda questione di copyright con un insulso gruppo Usa dallo stesso nome, poi Turilli, nel 2011, lascia l’organico, assieme a gran parte dei musicisti di allora per formare, tanto per confonderci ancora di più, i Luca Turilli’s Rhapsody.
A quel punto Staropoli prende in mano la situazione. Il gruppo viene denominato Rhapsody of Fire, per evitare beghe legali. E rifà di sana pianta la line-up. Entra in pianta stabile, al fianco di Tom Hess, il chitarrista extraordinaire Roberto De Micheli, un triestino che fin dagli inizi era stato una presenza piuttosto random nel gruppo. E arrivano Fabio Lione, eccezionale vocalist di Prato, il batterista tedesco Alex Holzwarth e il fratello Oliver al basso.
Un tour mondiale, di grandioso successo, serve a prendere le misure. Tom Hess, troppo gigione, va a casa. De Micheli diventa il signore delle chitarre, da unico axeman. Dopo l’ennesimo tour mondiale la band torna a Trieste, nella rassicurante atmosfera degli Echoes Recording Studios di via Economo, casa madre di Alberto Bravin, musicista ora con la Pfm ma già fonico nel tour mondiale del gruppo. Si lavora al nuovo album, previsto in uscita per i primi mesi del 2016. Non si sa cosa succeda (difficile entrare nelle dinamiche dei gruppi) ma a un certo punto Oliver Holzwarth passa la mano. Serve un nuovo bassista, e la scelta è quasi naturale: monta in sella Alessandro Sala, altro triestino, già attivo con Bravin e De Micheli nei Sinestesia, alfieri del prog-rock locale.
«Dopo il nuovo album - anticipa De Micheli - siamo attesi da un nuovo tour mondiale, in via di definizione. Nel 2014 siamo passati dal Giappone all’America, nel 2016 ci attendono ancora più paesi e ancora più città». De Micheli, ormai uno dei chitarristi di riferimento del simphonic metal, attualmente è testimonial ed endorser delle chitarre Ibanez e degli amplificatori Engl. Porta con sè un ricordo meraviglioso del concerto di Trieste dell’anno scorso («fantastico, ci auguriamo di riproporlo in una cornice ancora più importante») ricorda come «meraviglioso» il tour del 2014 e mette al primo posto il Giappone («pubblico e critica sono pazzeschi, viaggiavamo in media in auditorium da 2500 persone») ma anche il Sud America e crede fortemente nel nuovo disco. «Sarà una bomba. Metterà in accordo i vecchi e i nuovi fan dei Rhapsody of Fire». Prossimo appuntamente il 24 di luglio alla Festa dell’Unicorno a Vinci, uno dei maggiori eventi fantasy. Prima di conquistare il mondo e ritornare.
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