Riserve indiane assai lontane dalle idee guida dell’America

Da “Il buon selvaggio” di Devis Bonanni pubblichiamo l’inizio dell’introduzione, per gentile concessione di Marsilio Editori. di DEVIS BONANNI A metà del XVIII secolo la più frequente recriminazione...
Di Devis Bonanni

Da “Il buon selvaggio” di Devis Bonanni pubblichiamo l’inizio dell’introduzione, per gentile concessione di Marsilio Editori.

di DEVIS BONANNI

A metà del XVIII secolo la più frequente recriminazione da parte degli agenti delle riserve indiane era di non riuscire a imporre ai selvaggi un lavoro da buoni cristiani. Il Bureau of Indian Affairs1 seguitava a fornire alle riserve zappe, asce, crocefissi e registri cartacei per irregimentare le tribù nei solidi capisaldi della civiltà: lavoro, religione, burocrazia.

Eppure questi selvaggi non si dimostravano riconoscenti. La maggior parte di loro trascorreva le giornate in uno stato di apatia tale da abbisognare del mantenimento federale. Altri fuggivano alla prima occasione per far ritorno alle terre selvagge. Ma l’America era già l’America e i pallidi barbuti che avevano fondato la loro prima colonia stabile meno di due secoli prima (Jamestown, 1607), erano arrivati a milioni.

Il continente incommensurabile, del quale i nativi non ebbero mai contezza, si presentava ora così affollato da rendere la convivenza coi nuovi venuti impensabile e la vita libera nelle praterie una remota utopia. Carovane di irlandesi solcavano le pianure; dentro i carri trasportavano l’occorrente per l’occupazione: una moglie incinta – così che il nascituro fosse il primo americano della stirpe –, una Bibbia, un’ascia e un vomere. Accadeva che queste carovane si fermassero per qualche giorno proprio laggiù, lungo il fiume. L’indiano le osservava costernato dall’alto di un colle mentre i barbarossa smontavano carri trasformandoli in tende, smontavano tende trasformandole in case, smontavano case trasformandole in uffici postali, chiese e saloon. Nasceva dunque, da qualche parte nella pancia del vastissimo continente, una nuova Jamestown, o Jamesville o Jamesburgh.

Buffalo Bill completò la mattanza dei bisonti e partì per la vecchia Europa trascinandosi appresso il grande capo Toro Seduto: di là dall’oceano folle strabiliate attendevano il grande show del West.

Il governo federale poté allora completare le linee ferroviarie che attraversavano l’orizzonte americano. Gli indiani stavano vivendo il peggiore incubo di ogni nazione, ovvero quello di essere assorbita dal nemico per ko tecnico: sopraffatta sul piano demografico, falcidiata dalle malattie e dai vizi.

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