Robin Wright accetta di diventare eterna nell’universo digitale

A questo “The Congress”, nuovo film del colonnello israeliano Ari Folman (che sorprese tutti con “Valzer con Bashir” nel 2008), vanno riconosciuti sicuramente coraggio e ambizione. Prendendo spunto liberamente dal racconto “Il congresso di futurologia” di Stanislaw Lem, il regista ha creato una “distopia” semi-animata spesso imprevedibile e sorprendente. Qualcuno ha creduto di scorgerci l’ideale quarto episodio della trilogia di “Matrix”. Altri (il film era stato presentato a Cannes un anno fa) l’hanno giudicato soprattutto pretenzioso. Certamente si tratta di una scommessa affascinante, di sicuro effetto sugli appassionati della fantascienza. Un incubo orwelliano a occhi aperti, di grande smalto visivo.
Il film si pone come riflessione sulle contraddizioni e i paradossi della nostra società nelle sue trasformazioni (im)morali e (iper)tecnologiche, tra “realtà” e digitalizzazione selvaggia. All’inizio troviamo l’attrice Robin Wright che interpreta se stessa. Abita in un hangar presso un aeroporto con i due figli, uno dei quali vive una sorta di fascinazione del volo, legata però a una qualche problematicità psicologica (è in cura dal medico Paul Giamatti). Poi, ecco che entriamo a poco a poco nella finzione. Robin Wright ha fatto molti film, è una diva, o meglio lo è stata perché la sua intransigenza l’ha portata ormai ai margini della fabbrica dei sogni. Glielo ricorda in un magnifico monologo il suo agente (vero o falso?) Harvey Keitel. E lo fa perché Robin ha un’ultima occasione professionale: la società hollywoodiana Miramount (incrocio immaginario fra la Miramax e la Paramount) le offre un contratto singolare, oltre che ricco. Robin dovrebbe cedere la propria immagine che, dopo essere stata digitalizzata, diventerebbe proprietà della casa di produzione che potrebbe così utilizzarla a piacimento. Clonando la sua identità la renderebbe eterna nell'universo digitale. Non solo: lei come attrice reale non potrebbe più recitare. Solo il suo avatar ne avrebbe diritto, come le spiega il vorace tycoon Danny Huston (bravo come sofisticato cattivo).
Quando Robin sottoscrive quel contratto e accetta la scannerizzazione di se stessa, il film volta pagina. Sono passati vent'anni, gli attori hanno lasciato il posto all’animazione e il mondo intero è cambiato. Anzi, è un po’ come se ci fossero due mondi, uno reale e uno virtuale. Robin, richiamata per ridiscutere il suo contratto di “cessione di immagine”, dopo essere stata ibernata a causa di un incidente, si risveglierà in un mondo in cui il pubblico si è immerso totalmente in un paradiso lisergico dove ognuno può scegliere chi essere, e dove infinite copie di Keanu Reeves o di Marilyn recitano quella che può sembrare la vita. E Robin partecipa a una misteriosa convention in cui i simulacri di un’umanità tossicodipendente si ritrovano, e a lei, e a tutti quanti hanno accettato la stessa proposta viene offerta un'ulteriore possibilità.
L’idea, insieme assurda e geniale, viene come detto dalla fantasia di Stanislaw Lem, e offre a Folman di sbizzarrirsi nel costruire i personaggi dell’ “altro” mondo dove Che Guevara si intrattiene con John Wayne, mentre Gesù e Budda parlottano, Ronald Reagan fa le previsioni del tempo e sullo sfondo si vedono Picasso e Magritte, Frida Kahlo e Michael Jackson. Questa parte animata è divertente, ma certo meno riuscita della brillantezza trascinante della prima parte nel mondo “reale”. Forse Folman voleva farci toccare con mano la follia degli attori digitalizzati, anche se sembra un po’ invischiarsi in questo gioco. La scena più potente, quasi un’estensione della performance di Denis Lavant in “Holy Motors”, è la trasformazione delle emozioni di Robin in algoritmi e funzioni digitali, con Keitel che le parla dal gabbiotto. Di fatto, “The Congress” è il tipico film in cui conta quella che Coleridge chiamava nel 1817 “sospensione dell’incredulità”, riferendosi al lettore di un romanzo che deve sospendere le facoltà critiche per ignorare eventuali incongruenze e godere così appieno l’opera di fantasia.
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