Rolling Stones a Vienna, è rock da brivido

VIENNA. D’accordo, hanno fatto il patto con il diavolo fin da tempi non sospetti. E magari anche con qualche ottimo medico. Ma presentarsi on stage a oltre 70 anni d’età e dimostrare di essere ancora la migliore rock and roll band di tutti i tempi è roba che fa a pugni non solo con le leggi dell’invecchiamento ma anche con quelle generazionali. Non è un caso che a vedere i Rolling Stones all’Ernst Happel Stadion si presentino filiere intere di familiari, dal nonno ai nipoti. Perché Mick Jagger e soci sono nell’immaginario di tutti e dimostrano ancora, concerto dopo concerto, che sul palco e nel ricordo c’è posto solo per loro e che non si vede neanche all’orizzonte qualcuno in grado di sostituirli.
La spettacolare scenografia, con schermi ad altissima definizione che fanno vivere il miracolo anche agli sfortunati delle curve, in uno stadio non proprio nato per il rock, funge da splendido corollario a un’esperienza visiva e musicale che i 55mila scatenati presenti (alla faccia della flemma austriaca, anche se i fan arrivavano da tutta Europa, compresi oltre 100 triestini) difficilmente si scorderanno. Bastano le prime note di “Start me up”, ed è già Sabba pagano. Che si implementa con “You got me rocking” e diventa frenesia di movimenti nell’inno di tutti gli inni, “It’s only rock ‘n roll (but I like it)”.
Jagger è addirittura incredibile nelle movenze e nelle corsette (!) che lo hanno reso famoso, il coequipier Keith Richards si conferma più che mai il padre di Jack Sparrow, con quell’abbigliamento da pirata e quel ghigno naturale che si trasforma di continuo in sorriso, mentre strappa riff grassi ed epocali dalla selva di chitarre che si porta dietro e che cambia continuamente. Con “Tumbling Dice” e il piano honky tonk dell’inossidabile Chuck Leavell si piomba in pieno Delta americano, tra bordelli e case da gioco, mentre sugli schermi viene proiettato un cartone animato ad hoc. Il gruppo viaggia a mille, con Ronnie Wood che si divide tra gli interventi solisti alla chitarra e un lavoro di patchwork che unisce e rende granitico il muro del suono, tra l’altro ineccepibile e perfettamente calibrato.
È il momento di cambiare il “climax”, di rilassarsi, e chi meglio della dolcissima “Angie”, proposta in versione acustica, può riuscirci? Dura solo un attimo, però, chè già la più recente composizione degli Stones, “Doom & Gloom” rialza la pressione generale prima del momento della “richiesta”. Nell’intero tour mondiale, infatti, gli Stones concedono agli appassionati di esprimere il gradimento via Internet su una canzone che vorrebbero sentire al concerto. Stavolta si torna addirittura nei Swinging Sixties con la rispolveratura di “Get off my cloud”, vera rarità e perla assoluta.
Al pubblico, in visibilio, viene furbescamente offerta “Out of control” che sembra un omaggio delle Pietre Rotolanti alla “Papa was a Rolling Stone” dei Temptations, con la sua atmosfera soul d’altri tempi. Ma la ricreazione finisce subito e “Honky Tonk Women” ricorda a tutti quali straordinari compositori siano Jagger e Richards ma anche come abbiano attinto a piene mani dal blues americano e dalla musica del Sud degli States in genere.
Arriva anche il momento di Keith “Riff” Richards, cui gli stessi fan spesso hanno rimproverato una voce non proprio al top. Bene, all’alba dei 72, il pirata stupisce tutti e “You got the silver” e “Can’t be seen” lo vedono, anche vocalmente, praticamente perfetto, segno che è vero che invecchiando si migliora…
Inizia adesso una serie finale da stordimento. Per “Midnight Rambler” Mick chiama sul palco il quinto Stones, quello che aveva sostituito Brian Jones dopo la sua morte, Mick Taylor. Una versione da oltre 10 minuti, da brivido, con i due a scambiarsi frasi d’armonica e di chitarra fino allo straordinario finale con i tre chitarristi a sfidarsi l’un l’altro. Probabilmente il momento topico della serata. Bissato subito dopo da “Miss You”, il manifesto del rispetto che gli Stones hanno per la musica nera, con ampio spazio ai due eccezionali coristi, Liza Fisher e Bernard Fowler. Siamo in dirittura d’arrivo e, eccezion fatta per Charlie Watts, il più anziano ma ciononostante macchina ritmica da paura, tutti continuano a muoversi come ventenni scatenati. Ecco l’emozionante “Gimme Shelter”, “Jumpin Jack Flash”, la sulfurea “Sympathy for the devil” col “diavolo” Jagger, e il delirio di “Brown Sugar” con saluti e baci per tutti.
Finito? Macchè. È addirittura un coro di Vienna a introdurre una eclatante versione di “You can’t always get what you want” prima del tripudio, tra fuochi d’artificio e fiamme vere, di “(I can’t get no) Satisfaction” e i brividi di quanti, praticamente tutti, si sono resi conto di aver assistito a un evento. L’ultimo tour? A questo punto non ci giureremmo… Si replica domenica 22 a Roma, e beato chi ci sarà.
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