Salvatores a Trieste «Penso al sequel del mio super-eroe»

Il regista domani presenterà “Il ragazzo invisibile” «La città è surreale, onirica: perfetta per il film»
Di Elisa Grando

di Elisa Grando

Gabriele Salvatores è già in giro per le strade di Trieste. Domani presenterà in città in anteprima nazionale il suo ultimo film "Il ragazzo invisibile", tutto girato nel capoluogo giuliano, ma il regista ha voluto tornarci con un paio di giorni d'anticipo proprio per rivedere gli amici che ha conosciuto durante le riprese e gli angoli triestini che sono diventati per lui, non solo professionalmente, dei "luoghi dell’anima".

“Il ragazzo invisibile” avrà la sua première domani sera al cinema The Space Cinecity in tre sale in contemporanea, con inizio alle 20.30, 20.40 e 20.50. Salvatores saluterà il pubblico insieme al giovane protagonista, Ludovico Girardello, il "ragazzo invisibile" Michele. Il primo appuntamento col regista è però già alle 17.45 alla libreria Lovat dove Salvatores presenterà, con la sceneggiatrice del film Ludovica Rampoldi e il disegnatore Stefano Camuncoli, anche il romanzo (Salani) e la graphic novel (Panini Comics) nate proprio dal film. E a Trieste arriveranno anche Francesca Cima e Nicola Giuliano di Indigo Film e Cecilia Valmarana, responsabile produzioni e coproduzioni Rai Cinema: produttori coraggiosi, perché "Il ragazzo invisibile" è un film inedito per il mercato italiano, un fantasy per famiglie che per primo raccoglie nel nostro paese la sfida del genere dei supereroi. Salvatores, del resto, non si è mai spaventato di fronte ai generi, dalla commedia Premio Oscar "Mediterraneo" al road movie "Marrakesh Express", dal thriller "Io non ho paura" dalla fantascienza di "Nirvana". Ed ora tocca ai supereroi che, dice il regista, non sono affatto solo americani.

Salvatores, come ha affrontato la sfida di un supereroe tutto italiano?

«L'archetipo dei supereroi appartiene anche alla tradizione europea. Achille dell'Iliade è un supereroe con un punto debole, e in un certo senso la Divina Commedia è un fantasy. Gli americani hanno fatto diventare un archetipo il desiderio di supereroismo del genere umano: tutti nella vita ci chiediamo: sono solo quello che vedo o qualcosa di più? Qual è la mia missione?. Da europei, ci siamo avvicinati al tema cercando quello che c'è sotto al supereroe, i suoi desideri e paure».

Anche "Nirvana", nel 1997, è stato un film-scommessa, il primo sui videogiochi in Italia. Cos'è cambiato da allora?

«La tecnologia: oggi gli effetti speciali sono più semplici da realizzare. I creatori degli effetti digitali di "Il ragazzo invisibile" sono gli stessi di "Nirvana", e in entrambi hanno lavorato anche il montatore Massimo Fiocchi, la scenografa Rita Rabassini: è un po' una storia che continua. A rimanere uguale, invece, è la diffidenza che incontriamo. Il cinema italiano ha molti pregiudizi».

Un progetto così nuovo è guardato con sospetto?

«Molti colleghi mi chiedono: perché ti sei messo a fare un film così? Perché se non lo fa nessuno restiamo tutti fermi a quello che già sappiamo. Nel nostro cinema c'è molta pigrizia: è più facile riproporre sul mercato le cose che sappiamo già fare, ma il pubblico non è stupido, alla terza volta che fai . lo stesso film se ne accorge. Cambiare è rischioso, ma sono stato fortunato nella mia professione e credo sia un po' un mio dovere provare a concepire un allargamento dell'immaginario collettivo».

Il suo primo film era "Sogno di una notte d'estate" tratto liberamente da Shakespeare, e anche in "Il ragazzo invisibile" cita il Bardo...

«Shakespeare era un genio: raccontava la realtà politica di tutti i giorni mischiandola con una dimensione magico-poetica. Nel mio cinema i temi del tempo del cambiamento e dei mondi paralleli vengono sempre da lui. Nel finale di "Il ragazzo invisibile" gli unici che mantengono la memoria della straordinaria avventura che vedremo sono i bambini, così come in "Sogno di una notte d'estate" gli adolescenti che scappano nel bosco popolato dagli spiriti della notte dicono che è stato tutto un sogno. In "Educazione siberiana" c'è una ragazza che, come Ariel nella "Tempesta", cambia le cose, in "Come dio comanda", girato proprio in Friuli, c'è il bosco di notte come in "Sogno". E poi l'isola di "Mediterraneo", il deserto di "Marrakech Express", il campo di grano "Io non ho paura" con dentro un buco che apre un mondo diverso: sono tutti "universi paralleli"».

Dopo "Io non ho paura" ed "Educazione siberiana" racconta di nuovo un adolescente: perché?

«Da una parte perché è l'età più affascinante: il futuro è aperto davanti e tutto, anche le paure e le incertezze, viene vissuto in maniera enorme. Dall'altra parte c'è la mia età, da padre e quasi da nonno: non avendo figli, pensavo di esprimere così la mia voglia di indagare quella fase della vita. Il mio analista mi ha fatto capire invece che i miei personaggi non sono proiezioni dei figli che non ho avuto, ma di me adolescente, col quale sto ancora facendo i conti».

Ha detto che Trieste è un elemento cruciale del film. Cos'ha portato a "Il ragazzo invisibile"?

«Moltissimo. Trieste è una città italiana, ma sembra Vienna sul mare. È quasi surreale, onirica: non a caso Svevo, Joyce e tutta la Mitteleuropa della scoperta dell'inconscio è passata da qui. Dal punto di vista architettonico ci dava possibilità enormi: nella prima parte del film, più quotidiana, Trieste ci ha fornito un chiarore che assomiglia proprio alla pagina dei fumetti, con lo stesso azzurro tra cielo e mare come in un disegno di Hugo Pratt. Nella seconda parte c'è tutto il mondo del Porto Vecchio con le sue zone buie, le ombre, il colore della ruggine, perfetto per la svolta fantastica».

I ricordi più belli delle riprese?

«Il freddo, la forza del vento: più di una volta sul molo Audace abbiamo rischiato di perdere il nostro supereroe in acqua! (ride, nda). Di notte giravamo in cima all'Ursus sferzato dalla bora: ci sentivamo eroici. A Trieste sono stato in tutto cinque mesi, è diventata un pezzo della mia vita. Superata questa sottile scorza di austerità, Trieste ti accoglie. Anche molti della troupe ne hanno nostalgia: ci è rimasta dentro».

È vero che state già lavorando a un sequel?

«Gli sceneggiatori hanno già scritto un trattamento bellissimo e ancora più complesso, perché il ragazzo invisibile cresce, scopre la sessualità, diventa un ragazzo. È come una specie di "Boyhood" di Linklater, ma su un supereroe. Dipende tutto da come va questo primo film, ma sarebbe un bell'esperimento».

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