Secondo Nathan Sawaya Monna Lisa e il David hanno un’anima di Lego

di Viviana Attard
LONDRA
Quattromila ore di lavoro, ottanta opere, un milione di mattoncini. Sono i numeri di “The art of brick” (“L’arte del mattone”, ndr) attualmente in mostra a Londra nella Old Truman Brewery, nel quartiere di Shoreditch.
Quella che una volta era considerata solo una vecchia fabbrica dismessa ospita ora negozi di tendenza, ristoranti organici e - per i prossimi tre mesi (fino al 6 gennaio 2015) - una mostra dedicata interamente ai Lego.
Se pensate, però, di tuffarvi nel passato tra le repliche dei primi mattoncini ne uscirete delusi. I Lego, nelle mani (e nella mente) dell’artista americano Nathan Sawaya, diventano gli strumenti per riprodurre capolavori dell’arte, creando, con un altro strumento e in un altro campo, altri capolavori. Ad accompagnarvi tra una sala e l’altra troverete incredibili riedizioni della “Monna Lisa” di Leonardo, il “David” di Donatello, “l’Urlo” di Munch, fino a icone ancora più contemporanee (e viventi) come gli One Direction, boy band considerata da Sawaya la nuova stella del pop britannico dopo i Beatles.
Il percorso artistico dell’artista è alquanto singolare. Nonostante sin da piccolo abbia nutrito una passione viscerale per disegno E colori e abbia manifestato spiccate doti creative, da adulto ha deciso di studiare legge. E, sebbene l’arte sia rimasta sempre parte della sua vita, una volta laureatosi, ha intrapreso la carriera d’avvocato. In poco tempo ha fatto fortuna, diventando un noto e stimato professionista.
Eppure, come ha ammesso lui stesso in un’intervista, «in alcuni giorni più che in altri, sentivo che la mia vita mi stava stretta». E non gli era di consolazione il fatto che la sua attività lavorativa gli permettesse una vita agiata. Un giorno, l’illuminazione. Si mette a giocare con i Lego, come faceva da bambino. E si ricorda come, all’età di dieci anni, fosse riuscito a costruire un cane, dopo il tassativo rifiuto dei genitori di regalargliene uno in carne e ossa.
Spinto da questa rinnovata e ritrovata passione, Sawaya comincia a dedicare ogni minuto del suo tempo libero a creare opere d’arte con i Lego. Ben presto, grazie al supporto di un amico, arrivano il successo nei circoli newyorkesi e così anche le prime commissioni private da amici e conoscenti.
Un giorno del 2002 decide di appendere la toga al chiodo. Con i Lego non solo ci gioca, ma addirittura va a lavorare per la compagnia danese che li produce. Nonostante l’iniziale entusiasmo, però, sente che all’interno di un ufficio - seppur quello degli amati mattoni - non riesce a sentirsi realizzato. Lascia dopo solo sei mesi, rimanendo comunque in buoni rapporti con il datore di lavoro che gli attribuisce un doppio riconoscimento: Lego Master Builder (maestro costruttore) e Lego Certified Professional (esperto Lego). Si tratta di un unicum nella storia aziendale. Tuttora, Sawaya è il solo artista a poter fregiarsi del doppio titolo.
Nel 2007 inaugura la sua prima mostra negli Stati Uniti e da quel momento non si ferma un attimo. Tra commissioni private - tra cui figura un mappamondo per l’ex-presidente Usa, Bill Clinton, e pubbliche - Sawaya è diventato uno degli artisti più pagati degli ultimi anni.
Sin da quando ha iniziato a esporre, ‘The Art of Brick’ ha viaggiato attraverso diversi continenti (Europa, America e Cina) e si è arricchita di nuove creazioni. Ma il suo pezzo più famoso - anche esposto a Londra - è Yellow: un uomo che si squarcia il petto lasciando uscire una cascata di mattoncini, una sorta di autoritratto di Sawaya e della sua liberazione artistica.
Altri pezzi degni di nota, quantomeno per lo sforzo di tempo e abilità manuali, sono il gigante dinosauro alto quasi due metri, costitutito da 80 mila pezzi di Lego, un nuotatore con tanto di spruzzi d’acqua incorporati, formato da 10 mila mattoncini, e alcune repliche di monumenti famosi quali la cupola della cappella Sistina a Roma, che affianca il David di Donatello, la Monna Lisa di Leonardo, l’Urlo di Munch e altri pezzi più o meno introspettivi come la serie Human Conditions. Qui, attraverso il suo medium preferito, Sawaya ha creato opere che riflettono esperienze e paure personali. Una fra tutte, che ha ricevuto molti apprezzamenti, è una sorta di autoritratto nel quale l’artista esprime la sua paura per la perdita della manualità, strumento indispendabile per la produzioni artistica.
Per quanto le sei sezioni del percorso siano a volte confuse, e prive di un comune denominatore che non sia lo stesso mattoncino Lego, la mostra lascia a bocca aperta. Le creazioni di Sawaya, infatti, hanno un duplice effetto: meravigliare per la loro complessità e la loro spettacolarità e, allo stesso tempo, trasportare lo spettatore nei ricordi dell’infanzia.
Non mancano i limiti, che hanno suscitato numerose critiche sia da parte della stampa inglese che dagli stessi visitatori. Primo fra tutti il prezzo del biglietto, che varia dalle 14.50 alle 16.50 sterline per adulto. E lo sconto di solo una sterlina - solitamente riservato a studenti o anziani - non rende l’esposizione accessibile a tutti, in netta controtendenza con tutte le altre più importanti isitituzioni culturali londinesi, che hanno un tetto massimo di 12 sterline per esposizioni di carattere internazionale.
L’allestimento, inoltre, è abbastanza scarno. Le didascalie che accompagnavano le opere - un misto tra luoghi comuni e pensieri semi-filosofici di Sawaya, corredato da informazioni relative ai grandi capolavori che sembravano direttamente tratte da una brutta copia di wikipedia - sono state definite più volte “cheesy” (kitsch, o di “cattivo gusto”) o inappropriate. In molti, inoltre, hanno anche ferocemente criticato le perle di saggezza filosofiche dell’artista. Deludente la parte finale che, secondo i promotori avrebbe dovuto essere “interattiva” e che presenza invece tristi vasche di Lego abbandonate a se stesse. Mentre il negozio temporaneo, che alterna i famosi mattoncini con alcune stampe e abbigliamento con la riproduzione di Yellow, il pezzo-icona della mostra, è stato definito da molti “esageratamente caro”. A dispetto dei costi, però, “The art of brick” ha registrato 4mila visitatori nel solo weekend di inaugurazione. Il fascino irresistibile dei Lego e la capacità di ricostruire il mondo coi mattoncini, vince sulla cattiva organizzazione.
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